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Grecia, è ancora lontana la resa dei conti

Il parlamento di Atene ha detto sì alla manovra di austerità da 28 miliardi euro e al piano di privatizzazioni da 50 miliardi. Dunque, la Grecia può scongiurare il default per almeno un altro paio di mesi e la palla delle decisioni torna a Bruxelles e Francoforte. La situazione resta critica e incerta. Rimangono i dubbi sulla possibilità (e l’opportunità) di privatizzare i ‘gioielli di famiglia’, ingrediente fondamentale per il piano di finanziamenti approvato oggi. Così come rimangono le divisioni interne alla classe dirigente europea, tra niet categorici a ogni tipo di ristrutturazione del debito greco e improvvise aperture al coinvolgimento dei privati.

La verità, che ormai conosciamo da mesi, è che la Grecia è insolvente e la domanda che resta senza risposta è se l’Europa riuscirà in qualche modo a evitare l’inevitabile o se si limiterà a costruire un argine intorno al contagio proveniente dal probabile default di Atene.

Se ci limitiamo a guardare la storia recente, da Lehman Brothers in poi, osserviamo che di fronte al pericolo di un catastrofico effetto domino sul sistema finanziario globale, ha invece prevalso un approccio pragmatico e coordinato, che se da una parte è riuscito a evitare una soluzione drammatica della crisi finanziaria (è ancora lontano un ‘redde rationem’ per i grandi debitori mondiali), ha avuto il costo di prolungare il rallentamento economico, caricando di debito privato i bilanci pubblici e determinando in Occidente una crescita anemica di cui non si intravede ancora la fine.

E i Greci si salveranno? La luce rossa della matematica lampeggia a loro sfavore. Tassi di interesse elevati e deficit di bilancio primari (spese meno entrate) incrementano il rapporto debito/Pil; l’inflazione e la crescita del Pil lo riducono. Il debito greco, quest’anno al 160% del Pil, si avvia velocemente al 180%, in un contesto di recessione (per il terzo anno di fila) con tendenze deflattive, tassi di interesse punitivi (4,2%) e con il pareggio di bilancio che è ancora un miraggio, per non parlare di un surplus (si prevede un -2,8% nel 2011). Aggiungete una disoccupazione al 15%, destinata ad aumentare con i nuovi tagli, e i consumi interni che di conseguenza languiranno. Aggiungete l’impossibilità di svalutare la propria moneta, l’assenza di materie prime e di un solido apparato industriale per rilanciarsi con l’export.

Se anche l’Europa e il Fmi riusciranno a stabilizzare in qualche modo il debito greco, questo avverrà a un livello all’incirca tra il 180 e il 200% del Pil, da cui nella Storia nessun Paese è mai rientrato. Per restare nell’euro a tutti i costi e riportarsi verso il 60% stabilito dal trattato di Maastricht, servirà uno sforzo fiscale sovrumano (un avanzo primario tra il 5 e il 10% del Pil per 30 anni) o uno slancio impetuoso di crescita attualmente inesistente. Un default immediato, invece, porterebbe al corralito argentino (nel migliore dei casi) o a Weimar (nei peggiori).

Tra ieri e oggi 10mila persone hanno protestato in piazza Syntagma contro la manovra del governo socialista. Forse i contribuenti europei riusciranno in qualche modo a salvarsi. Ma aspettiamoci che, nei prossimi mesi, cresceranno nelle piazze della Grecia il numero di cittadini inferociti e la disperazione di una classe media sempre più impoverita.

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