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Grecia, cosa raccontano le elezioni: vince la destra ma senza il sacrificio di Tsipras Atene sarebbe in ginocchio

Tsipras ha pagato un alto prezzo alle elezioni greche di domenica che ha dato la vittoria parziale alla destra ma senza la sua coraggiosa azione di risanamento la Grecia non ce l’avrebbe fatta

Grecia, cosa raccontano le elezioni: vince la destra ma senza il sacrificio di Tsipras Atene sarebbe in ginocchio

Dopo la vittoria di Nea Dimokratia di Kyriakos Mitsotakis, che nelle elezioni di domenica ha ottenuto il doppio dei voti di Syriza, il partito di sinistra guidato dall’ex premier Alexis Tsipras, ci aspettiamo titoli che lamentano l’avanzata della destra in Europa. Qualcuno accenna persino ad un effetto Giorgia Meloni, la quale ha dovuto ricredersi da quando, nel 2015, scriveva  “Tsipras, in Grecia, è distante da noi anni luce, ma il risultato delle elezioni in Grecia racconta il fallimento delle politiche della Troika e la voglia di libertà che arriva dai popoli europei. Noi, in Italia, lavoriamo per costruire una risposta credibile a quel bisogno e la nostra stella polare è l’interesse nazionale. Perché la risposta non è l’internazionale dei popoli, ma la riscoperta delle patrie”. 

Grecia: gli anni di Tsipras al potere 

Qualche anno dopo, quando si parlava di Mes (una questione ancora aperta nonostante il nuovo corso di FdI), Meloni preconizzava che, aderendo al trattato, l’Italia rischiava di ‘’fare la fine della Grecia’’. La storia la conosciamo. La coalizione di sinistra guidata da Tsipras vinse le elezioni nel gennaio del 2015 e si trovò ad affrontare una situazione drammatica. La Grecia aveva perso un quarto del suo PIL, più di un terzo della popolazione era a rischio di povertà o di esclusione sociale, mentre la disoccupazione aveva raggiunto quasi il 22%. Erano necessarie severe misure di risanamento della finanza pubblica, ma Tsipras promise che avrebbe seguito un’altra linea, in sostanza – come si diceva allora – contro l’austerità. Mandò a negoziare in sede europea il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, un pittoresco economista che lo consigliava di rifiutare il pacchetto di aiuti, senza badare a quali fossero le conseguenze. 

Gli Stati membri dell’Unione presentarono un fronte compatto e non cedettero a quasi nessuna delle richieste della delegazione greca. Allora, Tsipras convocò un referendum in cui chiedeva al popolo greco se il governo avrebbe dovuto o meno accettare le dure condizioni che gli erano state imposte, suscitando lo scandalo e la preoccupazione dei partner europei. Vinsero i No, ma Tsipras non fece quello che gli avevano chiesto gli elettori e quello che consigliavano i duri del suo partito. Tornò a negoziare con i leader europei e accettò un pacchetto sostanzialmente identico a quello che gli era stato precedentemente proposto. 

Il “tradimento” di Tsipras e la destra al potere

Nella estate del 2015 si consumò il cosiddetto “tradimento” di Tsipras. La Grecia fu sottoposta ad una energica azione di risanamento anche se le fu evitata l’umiliazione della Trojka. Da beniamino di vasti settori della sinistra europea il leader di Syriza venne abbandonato come un gatto in tangenziale, nonostante la vittoria nelle elezioni anticipate. 

In quelle successiva tornò al potere la destra che ebbe la possibilità di avvalersi del ‘’lavoro sporco’’ impostato da Tsipras. 

A commento del risultato delle elezioni di domenica c’è ancora qualcuno che imputa la sconfitta della sinistra al ‘’tradimento’’ del 2015. È un po’ la stessa analisi del Pd italiano che ha addebitato le proprie difficoltà elettorali alla propria azione di governo negli ultimi dieci anni. 

Per quanto riguarda la Grecia prevale ancora nel dibattito la caricatura di un Paese soggiogato dal neoliberismo, umiliato nei diritti dei lavoratori, che ha perduto l’occasione di indicare che un’altra via è possibile. 

Ma nessuno guarda i dati. Nella vulgata dei talk show la Grecia conserva le stimmate o,  se vogliamo, le cicatrici (come ha intitolato ‘’Domani’’) della austerità. Eppure quel Paese dal 2010 al 2015 ha ballato sull’orlo dell’abisso, ai greci era consentito di prelevare 60 euro al giorno e le carte di credito erano annullate. I titoli di stato erano considerati spazzatura, utile al massimo per tappezzare le pareti domestiche. 

Invece, nel 2021, dopo la pandemia, la Grecia è cresciuta dell’8,4%; l’anno dopo del 5,9%. La disoccupazione è al 10%. In quello stesso anno si è registrato un piccolo saldo primario. Il debito pubblico, già esploso al 200% nel 2020, è sceso al livello più basso da 2012, grazie anche all’inflazione. Le esportazioni sono aumentate del 90% dal 2010 a fronte di un 42% medio dell’Eurozona. Le banche sono in discreta salute e i crediti inesigibili sono passati dal 50% del 2016 al 7%. Sono rientrati i capitali stranieri e quelli fuggiti all’estero; ed è in ripresa il turismo. Sono indicatori di un Paese che ha sofferto? Era meglio quando andava peggio perché c’era qualcuno che indicava delle scorciatoie inesistenti? Poi dicono che uno si butta a destra!

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