Benvenuti verdi, ambientalisti e scienziati che, sottolineando l’aumento drammatico delle emissioni nocive, mettete sotto pressioni le Big Oil. “Grazie a voi l’Occidente non può fare a meno di noi, quelli che definite i regimi ostili”. E’ il commento, tra il sarcastico e l’ironico, di un alto dirigente di Gazprom, il colosso petrolifero russo, secondo quanto riferisce Reuters. Tacciono, intanto, i Big dell’Opec riuniti per decidere le quote di produzione dl greggio per i prossimi mesi. Solo un alto dirigente saudita si lascia scappare che la decisione dei giudici dell’Aja che hanno imposto a Shell di accelerare l’uscita dagli idrocarburi “è un’ottima notizia per Aramco”.
La considerazione, senz’altro provocatoria, cade in un momento particolare della stagione. Sotto la pressione della domanda in piena ripresa dopo la festività del Memorial Day, tradizionale inizio della stagione dei viaggi per vacanza negli Stati Uniti, i petroliferi stanno battendo i record: il Brent si attesta attorno ai 70,70 dollari al barile (+1,7%) mentre il WTI quota 67,85 (+2,2%). La spinta del petrolio fa da propulsore anche ad altre commodities, già in tensione per l’aumento dei consumi. Il gas naturale, in particolare, sta mettendo a segno un incremento del 3% contribuendo al nuovo primato dell’indice Bloomberg delle materie prime ai massimi da sei anni. E lo stesso vale per i listini azionari: in testa all’indice di Piazza Affari spicca Saipem +4% seguita da Tenaris +2,4% e dall’Eni +2,3%. Aumenti tra il 2 ed il 3% anche per le Big Oil europee, da Total a Bp e Shell in attesa che alla riapertura di Wall Street tornino a crescere non solo i prezzi di Exxon e Chevron ma anche delle società dello shale oil, messe in crisi dalla svolta green dell’amministrazione Biden.
Musica per i rappresentanti Opec che, anticipa il Wall Street Journal, si accingono a deliberare un aumento della produzione di 350 mila barili al giorno per il mese di giugno e di 441 mila barili a partire da luglio. Un aumento frenato dai problemi di alcuni clienti, a partire da India e Giappone sotto pressione per la pandemia, e dalla prospettiva della ripresa della produzione dell’Iran, assorbita quasi interamente dalla domanda della Cina.
Il petrolio, al di là delle indicazioni di politica energetica dell’Occidente, si conferma la fonte energetica più importante, per ora quasi insostituibile nonostante gli sforzi sul fronte delle rinnovabili che, tra l’altro, sono vittime dei forti aumenti delle materie prime necessarie per la loro produzione. I consumi petroliferi si aggirano attorno ai 100 milioni di barili al giorno contro i 65 milioni di 30 anni fa: la riduzione dei consumi a Ovest è stata ampiamente compensata dall’aumento degli Emergenti che pure consumano meno, Cina compresa, impegnata a ridurre la dipendenza dal carbone. E dopo l’offensiva degli azionisti in Exxon, Chevron e nella stessa Shell, condannata dai giudici, si fanno sentire le voci dei grandi azionisti delle Majors, per lo più fondi pensione che contano sugli alti dividendi delle compagnie per far fronte ai loro impegni. “E’ vitale rispettare gli accordi di Parigi – dice Nick Stanbury di Legal & General, che amministra assets per 1,800 miliardi – ma questo deve avvenire grazie a scelte politiche condivise coni governi, nella direzione di un cambiamento deciso dei consumi. Altrimenti i prezzi voleranno e gli utili sfumeranno” aggiunge, sottolineando che, negli ultimi venti anni, i petrolieri hanno affrontato cause per danni all’ambiente in 52 Paesi.
Insomma, ci vuole un percorso industriale credibile per giungere ad un vero taglio dei consumi a livello globale. “Altrimenti – spiega a Reuter un dirigente petrolifero di un ente di Stato dell’Opec – l’unica conseguenza sarà di ridurre la quota di produzione delle compagnie occidentali a favore di quelle di Stato che il più delle volte producono con criteri meno severi in materia di requisiti ambientale Esg”.