La critica e la stampa
Il Kindle originale e soprattutto il Kindle 2 fu accolto in modo entusiastico dalla critica e dai grandi media. Ophra Winfrey, “the queen of reading”, il 24 ottobre 2008 nel suo show parlò del Kindle come il suo “gadget preferito”. Steven Johnson, il critico culturale del “Wall Street Journal”, scriveva di aver avuto, in un ristorante di Austin, il suo “ahah moment” dopo aver scaricato sul Kindle un libro. Sulle colonne del quotidiano in un articolo dal titolo How the E-Book Will Change the Way We Read and Write descriveva così il suo stato d’animo:
È quella cosa che succede quando schiacci un interruttore e avviene qualcosa di magico, qualcosa che ti fa capire in un istante che le regole sono cambiate per sempre.
Gli faceva eco Jacob Weisberg, direttore editoriale dello Slate Group, su “Newsweek” scrivendo che il Kindle era una esperienza superiore alla lettura su carta e che “Jeff Bezos aveva costruito una macchina che segnava una rivoluzione culturale”. Poi concludeva in modo assertivo:
I libri stampati, il più importante manufatto della civiltà umana, sono destinati a raggiungere i giornali e le riviste sulla via dell’obsolescenza.
L’allora tech critic del “New York Times”, David Pogue, si chiedeva se quelli di Amazon non fossero dei pazzi a investire su un e-reader quando il libro di per sé era un oggetto così valido da essere così poco perfettibile. E invece lo era nella misura in cui l’e-reader di Amazon permetteva, grazie alla sua connessione incorporata, il download immediato del libro alla metà del prezzo del suo gemello su carta. Il Kindle, nonostante le sue limitazioni e il suo design basico, “può essere l’inizio di un nuovo grande capitolo”, concludeva Pogue.
Anche l’“Economist” non mancava di cogliere l’importanza del lancio del Kindle. In un articolo dal titolo The book is dead. Long live the book (in some form) coglieva bene la continuità del Kindle con la forma libro, più che l’azione di scardinamento di quest’ultima. Il Kindle era un oggetto che estendeva e ampliava il bacino di utenza del libro e più che sottrargli terreno aveva un effetto sommativo, commentava l’anonimo articolista del magazine di Londra.
Era proprio la scelta di un device mimetico del libro, basato sulla tecnologia dell’inchiostro elettronico, sostanzialmente immersivo, perché di fatto sconnesso dalla fiera delle vanità del web, che rendeva la proposta di Amazon il più serio tentativo di portare l’industria del libro nello scenario digitale. Ed era proprio in questo intelligente tentativo di traghettare l’industria verso il digitale, che l’“Economist” vedeva, con chiaroveggenza, i prodromi di un potenziale conflitto tra l’industria dominante e Amazon. L’articolo del 20 novembre 2007 si chiudeva così:
In sintesi, oggi il business del libro è sulla strada dell’innovazione. C’è però un aspetto di questo business che rimane ancora immune dall’innovazione: i grandi editori impiegano da sei mesi a un anno a portare un manoscritto sugli scaffali di una libreria. Se Jeff Bezos riesce a introdurre le logiche di Internet in questo aspetto dell’industria editoriale, il mondo dei libri come lo conosciamo oggi sarà morto.
In realtà la guerra punica tra i grandi editori, spalleggiati dagli autori mainstream, e Amazon non sarebbe scoppiata sui tempi di pubblicazione, ma sul prezzo degli ebook.
Le vendite
Anche in termini di vendite il Kindle fu un successo fulminante. Non disponiamo di dati ufficiali, Amazon si limitava a commentare che il Kindle stava vendendo oltre le aspettative. Alcuni analisti stimavano che nel 2008 si erano venduti più di mezzo milione di Kindle: un risultato notevole considerando che il dispositivo rimase esaurito fino alla primavera 2008 e nuovamente dal novembre di quell’anno per tutta la stagione natalizia a seguito dell’ormai sperimentato “effetto Winfrey” sui lettori.
Si osservò inoltre che i possessori di Kindle tendevano ad acquistare di più degli acquirenti di libri. Sul “Wall Street Journal” Jeffrey Trachtenberg e Christopher Lawton parlavano di “Whim factor”, un fenomeno quasi pavloviano che si esprime in un acquisto d’impulso immanente all’atto stesso di acquistare. Un fenomeno che si iniziava, in questo stesso anno, ad osservare anche per le applicazioni che erano scaricate compulsivamente dagli smartphone. L’acquisto con un click e il prezzo attraente non mettono tempo in mezzo tra l’insorgere di un desiderio, anche capriccioso (whim appunto), e il suo appagamento. Un meccanismo pavloviano indotto dall’estrema efficienza prodotta dalla combinazione di software, comunicazione e facilità d’uso.
I grandi autori
Nella primavera del 2009, a pochi mesi dal lancio avvenuto il 24 febbraio 2009, il Kindle 2 contava già 1500 recensioni a 5 stelle sul Kindle Store. Circolavano anche indiscrezioni sulle vendite del dispositivo: si ipotizzava che in meno di un mese e mezzo Amazon avesse venduto oltre 350 mila esemplari del suo lettore. Jeff Bezos dichiarò che le vendite degli ebook ammontavano al 10% delle vendite totali di libri (siamo nel 2008), un risultato imprevisto e che nessuno in Amazon avrebbe osato sperare.
Il Kindle fu accolto bene anche dai grandi autori, gli scrittori di bestseller come James Patterson abituato a scalare le classifiche della New York Times Bestseller List (67 titoli hanno conquistato la vetta della lista per un totale di 350 milioni di copie vendute) come a salire i gradini della sua mansion a Palm Beach. L’entusiasmo di Patterson per il Kindle lo spinse a una comparsata nello spot pubblicitario di Amazon per asserire che il Kindle 2 era una cosa super perché gli permetteva di leggere, a bordo piscina, senza che la brezza arruffasse le pagine del libro. E poi si dice che gli scrittori non sono snob!
Un altro scalatore delle classifiche, Stephen King confezionò un ebook dal titolo Ur, una storia di confine tra un info-commerciale e un racconto breve, da distribuire in esclusiva sul Kindle store al prezzo di 2,99 dollari. Ur, che mostrava in copertina un Kindle rosa, ottenne in tre settimane una sbalorditiva quantità di download stimabile in 5 cifre. La chiave di volta del racconto era la funzione Ur del Kindle che immetteva in un universo parallelo e permetteva di modificare il corso degli eventi nel mondo reale. Dopo la proverbiale passeggiata di 5 chilometri, durante la quale elabora le idee sulle trame delle sue storie, Stephen King decise di accettare la proposta del suo agente di scrivere un racconto per Amazon solo se “posso scrivere una storia sul Kindle”. Desiderio esaudito.
Il grande narratore commentò così questa sua decisione che fece aggrottare la fronte anche a qualche fan:
I gadget mi affascinano, particolarmente per i loro aspetti anomali. Ho scritto su macchine assassine, computer maligni, telefonini che distruggono la mente. Quando è arrivata la richiesta di Amazon, stavo elaborando l’idea di un ragazzo che riceve email dai morti. La storia che ho scritto, Ur, parla di un e-reader che dà accesso a libri e giornali di un mondo parallelo. Sapevo di poter essere denigrato da qualche blog letterario che mi avrebbe accusato di essermi venduto a Jeff Bezos & Co., ma ciò non mi interessa molto; nella mia carriera sono abituato a essere denigrato dai soloni, e sono ancora in piedi.
Sia Patterson che King avrebbero cambiato presto idea sul Kindle, rammaricandosi pubblicamente di questo iniziale endorsement, che si sarebbe rovesciato in aperta ostilità. Già nella primavera del 2010 King si pentiva di aver contribuito alla diffusione dell’ebook dichiarando che invece di scrivere Ur avrebbe dovuto scrivere un’altra storia intitolata The Monster That Ate the Book Biz.
9,99 dollari
La copertina della storia scritta da Stephen King appositamente per il Kindle. In effetti a fine 2009 era quello che stava succedendo. In una intervista telefonica a Steven Levy, Bezos, in occasione del lancio del Kindle International, dichiarò che il 48% di tutti i libri venduti su Amazon.com erano ebook per Kindle. Il prezzo di 9,99$ (libro = 16$) li stava spingendo oltre ogni irragionevole previsione. Nel gennaio 2010 Michael Arrington su “Tech Crunch” stimava che i Kindle nelle mani dei lettori fossero 3 milioni. Forrester Research, una società di ricerche di mercato sull’impatto della tecnologia, valutava in 500 milioni di dollari i ricavi generati dagli ebook negli USA nel 2010.
Amazon vendeva i Kindle e i Kindle vendevano gli ebook. Si aveva così un network effect in pienodispiegamento. Succedeva anche che i possessori di Kindle si trasformavano in compratori forti così come stava accadendo ai consumatori di applicazioni e videogiochi. Sempre Forrester stimava che gli early adopter del Kindle leggessero tre libri e mezzo al mese, mentre i late adopter, cioè il pubblico più giovane, meno abbiente del primo e molto attento al prezzo, leggessero cinque libri e mezzo al mese. Alla fine erano il mercato e la lettura, come non si stancava di affermare Bezos, ad avvantaggiarsi dalla diffusione degli ebook. Ma non tutti erano di questa opinione.
A fine 2009 il Kindle era sugli scudi dei consumatori e non c’era quindi da stupirsi che iniziasse a serpeggiare tra i grandi editori e gli incumbent una crescente inquietudine per il loro business tradizionale. Era arrivato il momento di mettere uno stop ad Amazon? Sicuramente. Si doveva proprio reagire. Il 31 gennaio 2010, infatti, Amazon comunicava sul suo forum di aver ricevuto una comunicazione da MacMillan, una delle big five, che gli intimava di elevare il prezzo delle novità in ebook di fiction e non fiction da 9,99 a un prezzo compreso tra 12,99 e 14,99 dollari. Gli editori stavano iniziando a richiedere un nuovo accordo commerciale basato sul modello agenzia in base al quale a stabilire il prezzo era l’editore che lascia ad Amazon una commissione del 30%.
Un passo che avrebbe posto definitivamente fine alla pratica di acquistare a 12 dollari e rivendere a 9,99, un’operazione unilaterale resa possibile dai precedenti accordi basati sul modello commerciale wholesale che lasciava libertà ad Amazon di stabilire il prezzo al minuto. Questo upgrade del prezzo metteva in crisi la strategia di Amazon per conquistare quote di mercato per il Kindle. Che cosa era accaduto? Era entrata nel gioco la Apple di Steve Jobs tirata per il bavero dai grandi editori capeggiati da Rupert Murdoch che vedeva in Jobs l’unico contrappeso a Bezos.