Alla prima vera prova da premier non si può dire che Matteo Renzi abbia entusiasmato: è caduto come un pivello nella trappola delle lobbies e delle corporazioni regalando il ministero dello Sviluppo economico a una figura imprenditoriale del tutto inconsistente e politicamente ambigua come Federica Guidi e il ministero del Lavoro al potente capo della Lega Coop, Giuliano Poletti. Peggio di così non poteva davvero cominciare, con buona pace dei tanti conflitti di interesse che Guidi e Poletti portano con sè. Un segnale rovinoso, solo in parte controbilanciato dalla scelta di un supertecnico come Pier Carlo Padoan al ministero dell’Economia.
O Renzi trova il modo di riscattarsi subito o il Governo del cambiamento resterà una chimera. Anche in politica la discontinuità è importante, ma da sola non basta a migliorare. Oltre all’anagrafe contano la competenza e la capacità di realizzare per davvero quanto si promette. Altrimenti è solo fumo, destinato ben presto a svanire.
Volendo, la possibilità per riscattarsi però c’è e non richiede nessuna legge. Ma va colta al volo: subito, nelle prossime ore. L’occasione è la formazione dei gabinetti e dei team ministeriali. I governi di Mario Monti prima e di Enrico Letta poi hanno sperimentato sulla propria pelle il sabotaggio occulto e l’ostruzionismo indefesso dei superburocrati che occupano i posti nevralgici dei dicasteri. Chi non ricorda il balletto delle cifre sugli esodati o quello, non meno sconsolante, sulle aliquote della mini-Imu?
Non per caso è sorto il dubbio su chi comandi davvero in Italia: la politica o le lobbies e la potentissima e inamovibile burocrazia? Come segnalava proprio su FIRSTonline del 14 settembre scorso uno studioso di razza come Gustavo Visentini, il potere invasivo delle corporazioni e della tecnostruttura ministeriale ha ormai svuotato la politica italiana. Certamente la debolezza e l’assenza di legittimazione popolare dei politici contano, ma non spiegano tutto.
Ecco allora l’occasione d’oro del governo Renzi: in tutti i ministeri cambi subito, con rarissime eccezioni, i capi di gabinetto, avvii la rotazione dei direttori generali da un ministero all’altro e rinunci ad infoltire le squadre ministeriali dei consiglieri di Stato che di solito scrivono i testi di legge pensando prima di tutto ai propri privilegi, alle loro doppie remunerazioni e alle loro scandalose indennità di pensione.
E’ ovvio che le elites della burocrazia italiana non sono tutte eguali e che ci sono dirigenti pubblici di grande valore ma è ora di dare un segnale e di ripristinare le gerarchie del potere. Ridimensionare la superburocrazia sarebbe una riforma che non costa nulla ma soprattutto sarebbe il passaporto obbligato per aprire il cantiere delle altre riforme: da quella elettorale a quelle del fisco, del lavoro e della Pubblica amministrazione, giustamente indicate da Renzi come prioritarie.
Errare è umano anche per il nuovo premier, ma perseverare lasciando i superburocrati sulle loro comode poltrone sarebbe, questo sì, davvero diabolico.
Leggi la precedente analisi del Direttore Franco Locatelli: “Governo, non basta la discontinuità”