Il Governo del più giovane Presidente del Consiglio della Repubblica, il Renzi 1, passerà certamente alla storia come il Governo della discontinuità. Ma c’è un problema: non sempre cambiare basta a migliorare. Benissimo ridurre i ministri e benissimo pareggiare il conto tra uomini e donne nella squadra dei ministri. Ottima anche la scelta di Pier Carlo Padoan, un supertecnico con un passato al Fondo Monetario e all’Ocse ma con sensibilità politica, al delicatissimo dicastero dell’Economia. Padoan, che non ha nemmeno fatto in tempo a insediarsi alla guida dell’Istat dove era stato nominato solo da poco, conosce perfettamente i problemi della finanza pubblica e ha credibilità internazionale per negoziare la necessaria correzione di rotta che si impone nella politica economica europea.
Lasciano invece molto perplessi altre nomine: su tutte quella di Federica Guidi alla testa di un ministero importante come lo Sviluppo Economico. Non basta essere figli di un imprenditore (non di prima grandezza) per conoscere realmente e per affrontare seriamente i problemi dell’industria. C’è solo da sperare che non si incammini sulla strada del padre Guidalberto, che cominciò la sua carriera in Confindustria come simpatizzante di Prodi e, al primo cambiar del vento, si ritrovò tra i fans berlusconiani e tra i falchi di Antonio D’Amato, che può ragionevolmente ambire alla palma del peggior presidente della Confindustria. Al di là dell’incompetenza politica e ministeriale, c’è da sperare che la Guidi, fino a poco fa considerata vicina a Forza Italia, non ripeta la follia berluscon-damatiana di voler contrapporre le piccole aziende ai grandi gruppi industriali. Ma rispetto alle candidature di spessore che si erano profilate nei giorni scorsi l’ex presidente dei giovani di Confindustria è lontana mille miglia.
Quella della Guidi è forse la scelta più deludente e imbarazzante ma altre nomine lasciano perplessi. Per esempio quella di Poletti al Lavoro: rispetto alla novità che avrebbero potuto rappresentare Tito Boeri o Pietro Ichino siamo anche qui su un altro pianeta.
Anche la Mogherini agli Esteri è un azzardo ed è la ragione del tesissimo faccia a faccia tra Renzi e Napolitano, che avrebbe preferito la linea della continuità con la conferma alla Farnesina della Bonino. Un’altra perplessità la solleva lo spostamento dall’Ambiente alla Giustizia di un politico come Andrea Orlando, in odore di giustizialismo.
Per l’Istruzione, dopo la disastrosa esperienza della Carrozza, lascia invece ben sperare la nomina della montiana Giannini da cui ci si aspetta uno scatto sul terreno della valutazione indipendente del merito: sia degli insegnanti che degli studenti.
La conferma di Alfano (ma non come vicepresidente), di Lupi, di Lorenzin, di Orlando e di Franceschini è il frutto del compromesso politico che come tale va valutato, anche se gli ultimi due spostamenti lasciano dubbiosi.