Paolo Sylos Labini era uno dei grandi economisti italiani della seconda metà del secolo scorso. Uomo di sinistra di cui si ricordano ancora i suoi scontri con Andreotti e Berlusconi, oltre ovviamente alle sue più famose opere scientifiche come il “saggio sulle classi sociali” che segnò una svolta nella comprensione delle dinamiche sociali ed economiche dell’Italia. Oltre vent’anni fa Sylos pubblicò proprio su La Repubblica un articolo in cui sosteneva che una maggiore flessibilità in uscita dal posto di lavoro, insomma una modifica dei vincoli della legislazione che prevedono il reintegro della persona licenziata, avrebbe avuto effetti positivi sull’occupazione complessiva, perchè gli imprenditori avrebbero potuto assumere nuovo personale senza il timore di doverseli tenere anche nei momenti di congiuntura sfavorevole. In altre parole Sylos dimostrava che una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, anche in uscita e non solo in entrata, avrebbe determinato un aumento dei posti di lavoro e quindi una crescita complessiva del sistema economico.
Si tratta di concetti di non immediata percezione. La gente, ed anche i dirigenti sindacali, pensa che la garanzia del posto di lavoro per legge riesca davvero a salvaguardare l’occupazione ed il salario delle persone. In realtà così si rendono solo più deboli le aziende, si impedisce loro di approfittare dei momenti di congiuntura favorevole, ostacolandone la crescita, con il risultato che non si salvaguardano né i posti di lavoro di tutte le imprese che chiudono, né si creano nuove occasioni di occupazione per i giovani. Tuttavia con un po’ di pazienza e con un po’ di conoscenza dei meccanismi fondamentali dell’economia si tratta di concetti che si possono anche spiegare e far capire a tutti. Certo che se il Governo manda in TV ministri assolutamente digiuni di qualsiasi cognizione, ed immemori di quanto affermato da grandi economisti italiani e stranieri, l’effetto è disastroso. Così è stato ieri sera nella trasmissione di Bruno Vespa, dove il ministro La Russa non ha saputo trovare nulla di meglio da dire che si tratta di una misura che in tempi normali il Governo non avrebbe fatto (ammettendo così che è un provvedimento grave e sbagliato) ma che ora si deve adottare perché ce lo chiede l’Europa! Nemmeno una parola sul fatto che i Paesi dove esiste un mercato del lavoro più flessibile hanno in genere una crescita superiore alla nostra, salari migliori e, in definitiva, un sistema di tutela della disoccupazione diverso dal nostro e una migliore allocazione delle risorse sia finanziarie che umane.
Comunicare in questo modo vuol dire affossare sul nascere qualsiasi possibilità di discutere pacatamente di una riforma complessiva del mercato del lavoro sulla scia di quanto da tempo propone il sen. Pietro Ichino ed anche altri esperti della materia. Ma forse la lettera del Governo italiano all’Europa è stata scritta in fretta e nessuno ha avuto in tempo di capire esattamente quello che stava scrivendo!
Una lettera che in effetti contiene tante promesse, che fortunatamente è stata presa per buona dagli altri capi di Governo e che quindi consente all’Italia di avere un po’ di respiro. Tuttavia se uno guarda con attenzione le misure proposte capisce che mancano dettagli fondamentali per poterle valutare nella loro esatta portata. Tuttavia in linea generale si può notare che non sono ben evidenziate almeno due indicazioni generali che darebbero il senso di tutti i provvedimenti specifici volti a ridisegnare il sistema economico italiano. La prima è che si parla troppo poco di quel che riguarda i tagli alla politica e alla burocrazia, e la seconda, in parte connessa alla prima, è che sulla riforma fiscale non è delineata con forza la necessità di cambiare marcia puntando ad una riduzione del carico sul lavoro e sulle imprese e colpendo di più gli evasori ed i beni patrimoniali per arrivare poi, rapidamente, ad una riduzione del carico fiscale complessivo. Sono troppo modeste anche le intenzioni di vendita del patrimonio pubblico (appena 5 miliardi all’anno), così come sugli incentivi alle imprese si torna al vecchio armamentario dei sussidi a pioggia che non ha mai portato a risultati significativi. Buona invece l’intenzione di favorire la capitalizzazione delle imprese che, vista la scarsità di credito, è ormai indispensabile per mantenere in piedi le nostre aziende.
C’è da chiedersi perchè misure come quelle enunciate nella lettera, che erano da tempo invocate non solo da Confindustria, ma da tanti osservatori indipendenti, allo scopo di recuperare la competitività che il nostro sistema economico sta perdendo da almeno 15 anni, non siano state fatte negli ultimi tre anni, mentre infuriava la crisi globale. Certo che c’erano e ci saranno tanti ostacoli da parte di chi dovrà abbandonare alcune comode nicchie in cui si era sistemato. Ma i veri uomini di Governo dovrebbero sapere che la politica non è l’arte del possibile (cioè di limitarsi a guardare i sondaggi e procedere lungo le linee di minor resistenza), ma “l’arte di rendere possibili le cose che sono indispensabili per il bene dell’intera collettività.”