Ora che il sogno del Governo Draghi è davvero diventato realtà, è tempo di bilanci. Senza il colpo d’ala del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che, di fronte all’incapacità della maggioranza uscente di dar vita al Conte-ter, ha tagliato la testa al toro mandando in campo l’italiano più stimato all’estero, come indubitabilmente è Mario Draghi, non avremmo mai potuto sperare in un “Governo di alto profilo” che avvia un’autentica rivoluzione copernicana della politica. Dieci e lode dunque al Capo dello Stato che con questa mossa corona una presidenza già molto soddisfacente. E dieci lode a Mario Draghi che, da perfetto civil servant, non si è negato a un’esperienza politica da far tremare i polsi se solo si considera che ha davanti a sè tre sfide una più difficile dell’altra: quella pandemica, quella economica e quella sociale.
Ma onestà intellettuale vuole che, al di là delle simpatie o antipatie personali, si dia a Matteo Renzi quello che è di Matteo Renzi: non solo perchè nel 2015 fu lui a battersi in modo vincente ma tutt’altro che indolore per l’elezione al Quirinale di Mattarella ma perchè, se non avesse messo fine all’immobilismo del Conte 2 e non avesse provocato – tra mille insulti e mille anatemi – la crisi del Governo uscente, Draghi non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi. Renzi può piacere o no e spesso lui fa di tutto per rendersi antipatico ma bisogna ammettere che, rispetto ai nanetti politici del centrosinistra, lui ha una marcia in più e che la vision, il coraggio e la determinazione certamente non gli fanno certamente difetto. Voto 10 pieno.
Ma la gestione della crisi spinge a promuovere con ottimi voti anche Beppe Grillo (voto 8), Silvio Berlusconi (voto 8) e perfino Matteo Salvini (voto 7) che, per convinzione o interesse elettorale, hanno raccolto l’appello di Mattarella a dar vita a un Governo di “salvezza nazionale” senza identificarsi in nessuna formula politica.
Per Beppe Grillo i giorni del Vaffa sono lontani anni luce: stavolta il leader riconosciuto dei Cinque Stelle ha giocato tutt’altra parte. Fin da metà gennaio, quando gli alleati di governo del Conte 2 giuravano “mai più con Renzi”, Grillo era già andato controcorrente invitando ad aprire un “tavolo di tutti” per avviare una nuova fase politica. Il resto lo ha fatto negli ultimi giorni inventandosi il dicastero della Transizione ambientale per orientare il referendum dei Cinque Stelle verso il via libera a Draghi.
Nel centrodestra Berlusconi è stato il primo a intuire che era venuto il momento di fare una scelta di stampo europeo e di prendere le distanze dal sovranismo sostenendo apertamente Mario Draghi, di cui ha rivendicato a buon diritto la nomina a Governatore della Banca d’Italia. Del tutto inattesa è stata invece la svolta di Salvini che ha spiazzato tutti seppellendo almeno a parole il sovranismo e raccogliendo la voglia di governo e di Europa dei ceti produttivi che rappresenta: sarà una svolta sincera? Non lo sa nessuno e forse nemmeno Salvini, ma a una domanda non ci si può sottrarre e la domanda è questa: se davvero la Lega rompe con il sovranismo e si avvicina all’Europa per la democrazia italiana è un passo avanti o indietro? La risposta è ovvia.
Non tutti però superano gli esami e tre sono i bocciati eccellenti della crisi di governo: il primo è il premier uscente Giuseppe Conte, il secondo è il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e la terza è la leader della destra di Fratelli D’Italia, Giorgia Meloni. Per tutti e tre il voto è 4.
Di Conte si era capito da tempo che aveva esaurito la spinta propulsiva mostrata nel primo lockdown e che fosse del tutto improbabile che potesse essere il regista della ricostruzione e del rilancio dell’Italia post-pandemia. Ma la hubris che l’ha travolto – come ha argutamente notato Sabino Cassese – gli ha completamente annebbiato le idee facendogli collezionare errori imperdonabili. Il primo è stato il tentativo di gestire in proprio con una governance autoreferenziale i 209 miliardi del Recovery Fund, il secondo è stata l’indecorosa caccia ai transfughi per allestire una maggioranza brancaleone e il terzo è stato il saluto d’addio a Palazzo Chigi con tanto di banchetto sulla piazza antistante in una coreografia a dir poco allucinante.
Pessima anche la performance del segretario del Pd, Zingaretti, che s’è incaponito nella guerra a Renzi e nell’appiattimento su Conte e sui Cinque Stelle in vista di un’alleanza strutturale con i grillini che ha tutta l’aria di essere l’anticamera del neo-populismo ma che, a sua insaputa, lo tsunami Draghi ha già scompaginato. Chi ha a cuore lo stato di salute della democrazia italiana non può non provare tristezza per la rinuncia del Pd a giocare un ruolo da protagonista, qualunque siano le simpatie politiche che si coltivano, ma questo è quello che ci racconta la crisi di governo.
Malgrado lo sforzo formale di addolcire la sua opposizione pregiudiziale a Draghi, male esce dalla crisi anche Georgia Meloni, che con tutta evidenza ha preferito inseguire le sirene elettoralistiche anzichè l’interesse nazionale in un momento d’emergenza. E’ vero che la vita democratica non richiede ammucchiate bensì una trasparente dialettica tra maggioranza e opposizione. ma quello che stiamo vivendo non è un momento normale ma una fase assolutamente straordinaria. Questo è un punto cruciale: o lo si capisce o non si comprende nulla della crisi di questi giorni.
Mattarella 10 e lode per averci portato fuori da una crisi di governo drammatica, crisi voluta con
determinazione(e al buio) da Renzi, al quale mi è proprio difficile dare 10. Da una casa distrutta se ne può fare una più solida e bella. Ma per questo non ringrazio chi me l’aveva abbattuta. E, se sono sano di mente, non dimentico.
..mi auguro che Renzi riproponga il referendum sul Titolo V per eliminare la vergogna delle 21 Pro Loco (leggesi Regioni)