Il commissario europeo Moscovici ha mandato un segnale forte e chiaro per porre fine all’inconcludente balletto dei partiti italiani dopo le elezioni del 4 marzo. L’ Italia – ha detto – cresce meno di tutti gli altri Paesi europei e l’opera di risanamento del proprio bilancio pubblico non ha fatto alcun progresso negli ultimi mesi. E ciò mentre si profila un rallentamento generale della crescita causato dalla flessione del commercio internazionale. Insomma l’Italia non ha approfittato della buona congiuntura degli ultimi anni per riparare la propria pericolante casa, ed ora non ha più tempo da perdere se non vuole essere travolta da una possibile nuova crisi economica e finanziaria.
Il presidente Mattarella non è stato colto alla sprovvista dal richiamo di Bruxelles e si appresta ad accelerare i tempi per uscire dalla crisi lanciando un Governo di tregua al fine di varare una legge finanziaria capace di rassicurare i mercati, e nello stesso tempo partecipare con maggiore autorevolezza agli importanti appuntamenti internazionali del G7 e della UE per difendere gli interessi del nostro Paese sia sulla questione dei dazi che minacciano di ostacolare il commercio internazionale, sia sul bilancio e la riforma della Comunità Europea che dovrebbe prendere l’avvio a fine giugno.
Ma c’è anche un secondo messaggio non esplicito nelle parole di Moscovici, ma ugualmente evidente nel suo ragionamento: l’Italia non ha bisogno di un governo qualsiasi e meno che mai di un governo dominato dagli estremisti sovranisti che puntano tutte le loro carte sull’aumento della spesa pubblica. C’è bisogno invece di un governo capace di riprendere il cammino delle riforme per innalzare i potenziali di crescita, tenendo al contempo sotto stretto controllo la spesa pubblica ed il debito, per evitare che l’annunciato cambio della politica del denaro facile da parte della Bce possa provocare da noi una forte crisi della finanza pubblica e privata.
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Però i partiti che hanno quasi vinto le ultime elezioni, e cioè 5 Stelle e Lega, non sembrano aver capito nulla di quanto sta avvenendo nel mondo e continuano ad alimentare le illusioni degli italiani con ricette che, se attuate, ci porterebbero tutti alla rovina, colpendo in particolare proprio i ceti più deboli che dicono di voler tutelare. Ed infatti non a caso Grillo ha ritirato fuori l’idea di un referendum sull’Euro pensando che il popolo possa credere che la soluzione dei nostri problemi stia nella possibilità di stampare e mettere in giro una moneta nazionale che in breve tempo varrebbe si e no la carta sulla quale è stampata.
Dall’ altra parte gli economisti salviniani affermano che il debito non è un problema, basta non rimborsarlo ai milioni di italiani che lo posseggono, mentre il vice della Meloni, Crosetto, ha dichiarato a Porta a Porta (nell’indifferenza dei giornalisti presenti) che il loro obiettivo è rivedere l’articolo 81 della Costituzione in modo da poter aumentare il deficit di bilancio.
Purtroppo il marasma italiano sta danneggiando non solo il nostro Paese ma anche l’Europa. Infatti il presidente francese Macron, che è stato eletto su un programma di avanzamento della Comunità Europea sia nella difesa che in economia, non riesce a trovare interlocutori disponibili a marciare con lui in questa direzione. La Germania della signora Merkel non pare in grado di varare iniziative coraggiose e sembra ripiegare su minimi avanzamenti dei legami comuni che non aumentino i rischi percepiti dai cittadini tedeschi. I paesi dell’Est non sono disponibili a politiche comuni sull’immigrazione, mentre quelli del Nord hanno inviato a Bruxelles una minacciosa lettera per stoppare qualsiasi tentativo di creare una politica economica comune.
In questa difficile situazione manca la voce dell’Italia che non è stata coinvolta nella iniziativa di Francia, Germania ed Inghilterra per contrastare l’intenzione di Trump di mettere dazi sull’acciaio europeo, è rimasta muta nei confronti di quanto avviene in Siria e soprattutto non fa pesare il suo ruolo a Bruxelles sul bilancio europeo e sugli altri dossier economici come quello bancario o quello del così detto fondo salva stati.
A questo punto è chiarissimo che Di Maio e Salvini non sono in grado di fare un governo (né insieme né con altri alleati). Ed è in fondo un bene che si sia arrivati a chiarire questo punto senza aver dovuto verificare sulla pelle degli italiani quanto sballate siano le loro proposte sia in politica estera che in economia.
Un governo di tregua è quello che ci vuole per certificare il loro insuccesso e per poter iniziare a convincere i cittadini che i voti dati a formazioni estremiste sono non solo inutili, ma soprattutto dannosi per la democrazia perché basati su promesse impossibili da mantenere. Certo la tregua dovrebbe servire alle altre forze politiche, ed in particolare al PD, per chiarire cosa vuol essere in prospettiva e cosa significa oggi voler essere “di sinistra”. Allearsi con i 5 Stelle vuol dire scambiare il lupo per l’agnello e cioè scambiare per qualcosa di sinistra una forza che invece è sostanzialmente di destra, ed una destra brutta, non democratica e pronta a qualsia avventura pur di conservarsi al potere.
Manca poi una larga formazione liberal-democratica, capace di parlare ai tanti elettori che vogliono rimanere nel mondo occidentale (che non manifestano simpatie per Putin), che non vogliono l’inflazione che nascerebbe da una allegra politica di spesa pubblica, che diffidano di un allargamento dello Stato nell’economia tramite la nazionalizzazione di banche ed imprese in difficoltà. Una formazione politica che in Italia non esiste ma che forse potrebbe essere l’unica vera novità capace di battere i populisti. In tal senso è stato diffuso in Europa un manifesto (firmato da tanti intellettuali da Bernard-Henry Lévy a Negroponte, Fukuyama, Turow) che però nel nostro Paese non ha ricevuto molta attenzione. Magari sarebbe opportuno rifletterci un po’.