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Google, Yahoo, Microsoft e Facebook: quanto i quattro giganti del web danneggiano l’economia

I cambiamenti comportamentali indotti dalla sempre più pervasiva presenza di internet nella vita quotidiana hanno coinvolto anche i modelli di ricerca delle informazioni, assegnando un peso costantemente in crescita all’investimento pubblicitario veicolato dalla Rete e catalizzato dagli incontrasti dominatori di internet: Google-YouTube, Microsoft, Yahoo e Facebook.

Ma il “digital shifting”, a causa del predominio dei quattro big, ha ripercussioni molto concrete non solo in termini di mancato gettito per le agenzie tributarie di mezzo mondo, dovuto alla risaputa pratica di far figurare i guadagni dove sono tassati di meno attraverso operazioni di compravendita infragruppo, ma anche di mancata attività economica ed occupazione.

Lo Studio Ambrosetti calcola come 100 euro investiti nel settore media e pubblicità producano un aumento del Prodotto interno lordo per 256 euro. Affinando il calcolo e cercando di escludere l’effetto di stimolo alla domanda generato da banner e video gestiti dall’estero, il valore risultante sarebbe minore ma non scenderebbe sotto a 127 euro, il coefficiente con cui il Pil aumenterebbe per il solo effetto diretto — riferito cioè alla stessa filiera produttiva del settore media — del canonico investimento da 100 euro.
Anche più vistosi sarebbero gli effetti sull’occupazione. Sempre lo Studio Ambrosetti determina come un addetto in più nel settore media e pubblicità, crei 2,49 addetti nel complesso dell’economia.

Questo significa che Google-YouTube, Microsoft, Yahoo e Facebook, che stando ai dati Nielsen riescono a fagocitare l’80% del mercato dell’advertising online sottraendolo alle concessionarie pubblicitarie italiane, hanno un considerevole impatto economico sul nostro Paese, ricordando che in Italia il business vale 1,4 miliardi di euro.

Oltretutto la perdita aumenta continuamente a causa dell’abbandono dei media tradizionali, a scapito dei quali la raccolta pubblicitaria sul canale web è aumentata dell’80% tra il 2008 e il 2012.

L’incrocio tra internet e globalizzazione consente infatti di impostare campagne pubblicitarie globali, ideate a Mountain View piuttosto che a Richmond, con installazioni minime nei vari paesi target, quindi senza attivare un più articolato circuito moltiplicativo del reddito e dell’occupazione nei paesi destinatari.

Google, che in Italia incassa più di un miliardo di euro, risulta avere 120 addetti sul suolo nazionale, Microsoft ne ha 60, Yahoo 90 mentre Facebook solamente 15. Queste strutture gestiscono una massa di investimenti pubblicitari per l’Italia stimata dagli esperti in appena 350 milioni, lasciandone 800 in mano a piattaforme collocate all’estero.

Urgerebbe quindi che gli editori, preso atto del digital shifting, fossero in grado di presidiare adeguatamente la Rete, opponendosi allo strapotere di quello che si preannuncia essere il nuovo oligopolio per antonomasia.

I benefici sarebbero enormi. Secondo analisi di settore, un aumento del 10 per cento del business di Internet produrrebbe 200 mila occupati in più, come scriveva qualche giorno fa su “Repubblica” Maurizio Ricci. E siccome Internet evolve in maniera rapidissima, risultando più naturalmente appannaggio dei giovani, la metà dei neoassunti sarebbe nella fascia 15-24 anni, la generazione più alienata a causa della crisi.

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