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Google e il passo indietro di Brin e Page: ecco le vere ragioni

Wikimedia Commons Joi Ito

Chi ha visto Larry Page? 

Un mese dopo l’elezione Donald Trump, Larry Page, il co-fondatore di Google, fu invitato, insieme ad altri importanti esponenti del mondo della tecnologia, a un incontro con il Presidente alla Trump Tower. 

È stata questa una delle rare apparizioni pubbliche di Larry Page. Indossava un completo marrone chiaro, seduto tra Jeff Bezos e Sheryl Sandberg. “Sono molto contento di essere qui”, ha detto Page, quando è stato il suo turno di parlare. In realtà non sembrava per niente contento di essere in quel luogo con quella gente. 

Quando è stato nuovamente convocato nel 2018, stavolta, per testimoniare di fronte al Senato del Congresso degli Stati Uniti, non si è nemmeno presentato. I membri della Commissione allora hanno apposto un cartello con il suo nome sulla sedia vistosamente vuota a fianco di quelle degli altri testimoni. Come molti osservatori hanno notato il giorno dopo, Page sembrava, di fatto, essersi ritirato dalla guida di una delle imprese più ricche e potenti del mondo. 

Le dimissioni dai ruoli operativi 

Agli inizi di dicembre 2019, Larry Page e Sergey Brin, l’altro fondatore di Google, hanno comunicato la loro volontà di lasciare ogni ruolo operativo in Alphabet, la società che controlla Google. Sundar Pichai, una persona di fiducia e già CEO di Google dal 2015, ha assunto i ruoli che erano dei due co-fondatori. 

Il trasferimento di poteri è apparsa una decisione improvvisa e, per certi versi, inattesa. In realtà è stato il punto di arrivo di una separazione ormai in atto da più di un anno tra due delle più importanti figure di Silicon Valley e la società che hanno fondato 21 anni fa. 

Page e Brin avevano già ridotto il loro coinvolgimento nella gestione quotidiana dell’azienda, cedendo via via i loro compiti manageriali ad altri soggetti. Volevano potersi concentrare su una molteplicità di progetti, come l’auto alla guida autonoma, la robotica le tecnologie per l’allungamento della vita e via dicendo. 

Sono però rimasti nel Consiglio di amministrazione di Alphabet. Page e Brin detengono ancora il 51% delle azioni di Alphabet con diritto di voto, che gli garantisce il controllo effettivo della società. 

Genitori orgogliosi 

La loro lettera di dimissioni, pubblicata sul blog di Google il 3 dicembre 2019, riporta questo passo significativo: 

“Oggi, nel 2019, se l’azienda fosse una persona, sarebbe un giovane adulto di 21 anni e per lui sarebbe arrivato il momento di lasciare il nido. Anche se è stato un enorme privilegio essere coinvolti a fondo nella gestione quotidiana dell’azienda per così tanto tempo, crediamo che sia giunto il momento di assumere il ruolo di genitori orgogliosi — che offrono consigli e amore, ma non si lamentano quotidianamente! 

Con Alphabet ormai consolidata e Google e le altre iniziative che operano efficacemente come società indipendenti, è arrivato il momento di semplificare il nostro organigramma. Non siamo mai stati attaccati ai nostri ruoli manageriali quando pensiamo che ci possa essere chi lo fa meglio. E Alphabet e Google non hanno più bisogno di due CEO e di un presidente. In futuro, Sundar (Pichai) sarà il CEO sia di Google che di Alphabet.

Sarà Sundar ad assumere la guida di Google e la gestione degli investimenti di Alphabet e delle altre nostre iniziative. Resteremo profondamente impegnati in Google e Alphabet nel lungo termine e continueremo a prendervi parte attivamente come membri del Consiglio di amministrazione, azionisti e co-fondatori. Inoltre, continueremo a parlare con regolarità con Sundar, soprattutto sugli argomenti che ci appassionano di più!” 

Genitori anche di Internet 

Page e Brin hanno contribuito a fare di Internet e della Silicon Valley un fenomeno culturale e commerciale senza pari nel mondo. Nell’ultimo ventennio, hanno ispirato e diretto un’azienda che è stata il punto focale di uno dei periodi più importanti nella storia del business e della tecnologia. Ma qualcosa si è rotto nel frattempo nel rapporto con la società e i governi. 

Mentre succede questo, due dei maggiori protagonisti di tali vicende se ne vanno. Perché?

Non fuggono dalle loro responsabilità, ma se ne vanno, molto probabilmente, per portare avanti nuovi progetti, finanziati con i miliardi di dollari che hanno guadagnato con Google. Sono sempre spinti dalla convinzione che la tecnologia possa risolvere i principali problemi del pianeta. 

Google è come la Microsoft di Bill Gates? 

Il motto iniziale di Google, coniato pensando al ruolo che fu di Microsoft, era “Don’t be evil” (Non essere malvagio), poi diventato parte integrante del codice di condotta di Google. 

Oggi sono in molti a chiedersi se la frase debba essere emendata della forma negativa. 

Google, infatti, deve affrontare sfide legali e normative immense in diversi continenti. I suoi stessi dipendenti sono in subbuglio come non era mai accaduto. Il barometro dell’opinione pubblica sta segnando tempesta. La questione della privacy non è più da spallucce. Spetterà però a Pichai, e non ai fondatori, il compito di pilotare Google attraverso queste turbolenza. 

“È diventato un lavoro impossibile”, ha detto Shane Greenstein, professore della Harvard Business School che ha studiato Google e il ruolo dei suoi fondatori. Ha poi aggiunto: 

“Page e Brin sono pensatori cerebrali e tecnologici. I problemi che l’azienda deve affrontare non sono solo problemi di tecnologia o di scienza. Sono problemi legati a questioni di politica aziendale con un profilo essenzialmente legale e politico. Materie dalle quali i due fondatori sono distanti anni luce come interessi e anche come capacità”. 

Imprenditori casuali 

Page e Brin si sono incontrati dopo la laurea all’Università di Stanford e nel 1996 hanno elaborato un algoritmo (il PageRank) per classificare nel modo migliore i risultati di una ricerca su Internet. All’epoca era un semplice progetto scolastico. 

Da allora Google è diventato il motore di ricerca dominante quasi ovunque, eccetto che in Cina. Il suo motore di ricerca gestisce nove ricerche su dieci. Il software Android, di proprietà di Google, alimenta circa tre quarti degli smartphone del mondo. E per una intera generazione di giovani, YouTube, che Google ha acquisito nel 2006, ha praticamente soppiantato la televisione. 

Ma succede che più Google diventava potente, meno i suoi fondatori sembravano interessati a gestirlo. 

Sono imprenditori casuali — commenta Greenstein. Date le loro origini, non c’è da stupirsi. Probabilmente nutrono ancora il desiderio di diventare professori o lavorare in un laboratorio di ricerca. 

Sta di fatto, però, che Page e Brin, in questi 20 anni, hanno dimostrato di essere abili uomini d’affari e avere grande intelligenza nel business. Non è sono proprio degli sprovveduti, dei sognatori o degli idealisti. 

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Imprenditori accorti 

Per esempio. Quando gli investitori temevano che i fondatori non fossero pronti a gestire quella che, molto giustamente, credevano potesse diventare una delle più grandi aziende della Silicon Valley, Brin a Page hanno fatto spazio a un manager esterno. Nel 2001 è arrivato Eric Schmidt, già CEO Novell, una casa di software, come amministratore delegato di Google. 

Anche questo è successo quasi accidentalmente. Page, Brin e Schmidt si sono conosciuti e hanno legato durante il Burning Man, un eccentrico festival comunitario di libera espressione e autorealizzazione. Il BM si tiene ogni anno nell’infuocato deserto del Nevada che sfida i partecipanti in prove estreme di sopravvivenza. 

Al Burning Man non sono ammessi soldi, vige il baratto, i cellulari sono vietati e l’unica cosa disponibile nella vicina città di Black Rock sono ghiaccio e caffè. È una visione che si avvicina abbastanza a quella di Brin e Page, entrambi di educazione montessoriana. 

I vantaggi della libertà creativa 

Brin e Page si sono subito trovati bene con Schmidt. Si racconta un episodio piuttosto curioso a proposito dell’acquisizione di Android. Un giorno Page andò da Schmidt per promuovere l’acquisizione di una società con un sistema operativo per smartphone, Android. Al che Schmidt replicò: “Larry, ma abbiamo già concluso l’acquisizione di Android un mese fa!”. Page non fece una grinza. Andava bene così. 

In una delle ultime interviste pubbliche di Page, i giornalisti gli hanno domandato dell’interesse di Google per la Cina, un Paese dal quale Google è uscito qualche anno fa per ragioni politiche. 

“Ho delegato anche la questione a Sundar — ha risposto Page — . L’ho aiutato a rifletterci. Ma non ho una risposta sul momento”. Nel dirlo sorrideva, e così sorrideva anche la gente che era con lui. 

Uno dei vantaggi di non essere più amministratori delegati era che Brin e Page non avrebbero più dovuto svolgere compiti operativi come quelli di trattare le acquisizioni, parlare con gli inserzionisti, gli investitori, i giornalisti e i regolatori. 

I fondatori si sono così potuti dedicare ad altre attività, i cosiddetti “moonshot”, cioè progetti assolutamente avveniristici come quello che a cui stavano già lavorando con risultati incoraggianti, l’auto a guida autonoma. 

La nascita del progetto dell’auto a guida autonoma 

Nel 2005 Page ha preso parte alla DARPA Grand Challenge, una competizione per veicoli senza guidatore nel deserto della California. Lì ha incontrato Sebastian Thrun, professore di Stanford specializzato nello sviluppo di tecnologie per la guida autonoma, che allora erano appena agli inizi. Lo stesso Trun ricorda: 

“Sono ancora sbalordito dall’aver visto il fondatore di una società come Google a una gara di automi. Non passò molto tempo prima che Larry mi spingesse ad avviare un team per costruire un sistema per veicoli a guida autonoma. Non pensavo a Google come a una società nel comparto dell’automobile — ha aggiunto Thrun. Ma Larry vedeva Google come un’azienda che spingeva l’innovazione in qualsiasi settore”. 

Chauffeur nel 2009 è divenuto così il progetto segreto di Google per il settore dell’auto. Thrun lo ha avviato in stretto coordinamento con Brin e Page. Oggi, un numero sempre crescente di grandi aziende tecnologiche lo sta sperimentando. Anche le grandi case automobilistiche storiche non sembrano avere altro per la testa. Quando, però, nel 2010 si è diffusa la notizia del progetto, c’è stata molta meraviglia nel vedere una società di Internet intenta a costruire un’auto. Era un segno evidente che Internet non è solo una tecnologia, ma un sistema economico complessivo. 

Il moonshot 

Thrun ha guidato il progetto Chauffeur sotto l’ombrello di Google X, il cosiddetto “laboratorio moonshot”, dove svariati team di ingegneri lavorano a costruire progetti fantascientifici che l’opinione comune ritiene irrealizzabili. Infatti, molti di questi progetti sono andati in fumo, come gli ascensori spaziali, gli zaini-razzo e il teletrasporto. Ma ce ne sono altri più promettenti, come i droni per le consegne, gli aquiloni che producono energia e i palloni aerostatici per Internet. 

Come la maggior parte dei progetti futuristici di Google, il laboratorio è nato da un’idea dei fondatori. Brin, in particolare, voleva qualcosa su cui lavorare perché si stava annoiando nelle faccende gestionali. 

“Era sempre frustrato da quello che doveva fare; non si può progettare dall’alto, diceva. Voleva andare a costruire cose con le sue mani”, ha riferito Michael Jones, co-creatore di Google Earth, che ha trascorso 11 anni in Google. 

Brin ha spostato il suo tavolo di lavoro negli uffici di Google X e ha iniziato a sperimentare nuovi progetti come i Google Glass, i droni per le consegne e le chiatte-data center ormeggiate nella baia di San Francisco. 

I dolori di Page 

Nel 2011 Page ha ripreso il ruolo di amministratore delegato di Google. Ha ricevuto un’accoglienza calorosa come quella di un eroe che rimpatria. Ma il suo schema non era cambiato: okay stare lì, ma non occuparsi delle attività gestionali. 

Non sembrava più interessato agli aspetti quotidiani del lavoro di un capo. Era frustrato dalle crescenti rivalità tra dirigenti e dalla competizione per le cariche. Tutti aspetti che sono una parte inevitabile della vita aziendale. Lo riferiscono tre ex dirigenti di Google al “New York Times”. 

Ben prima dei recenti problemi sindacali e politici con i dipendenti, Page era rimasto deluso dal comportamento di parte degli ingegneri di Google. Lo riferiscono altri due dirigenti di Google al “New York Times”. 

Ha inoltre iniziato a soffrire di problemi di salute, in particolare una forma di paralisi delle corde vocali che, alle volte, lo rende afono. Alcune persone che hanno incontrato Page hanno riferito che talvolta usa un dispositivo acustico per parlare. 

L’avversione allo short termism 

“Larry è un professore diventato una star del mondo degli affari. Non credo che abbia alcun interesse o amore o desiderio di dirigere un’azienda. La cosa che gli interessa è spingere in direzione dell’innovazione”. 

Ha detto Jones, un ex manager di Google. 

Nel 2013 gli analisti finanziari gli hanno chiesto se le risorse impiegate nel moonshot avrebbero mai potuto generare delle entrate. Page gli ha rinfacciato il loro short termism quando avrebbero dovuto chiedergli di spendere di più. È stata l’ultima conversazione che ha avuto con gli analisti. 

In effetti, Page ha dedicato molto tempo ai progetti collaterali. Per anni, Page e Thrun hanno discusso di un nuovo tipo di veicolo: l’aereo elettrico personale. Ma piuttosto che cercare di costruirne uno finanziato da Google, hanno portato avanti un progetto indipendente, sostenuto con il patrimonio personale di Page. “Sapevamo che il volo era troppo lontano da Google e dai suoi azionisti”, ha detto Thrun. 

Thrun ora gestisce Kitty Hawk, che produce tre modelli di aerei elettrici. Page è il principale finanziatore. Vi si reca in visita alcune volte al mese. Page sta finanziando anche tre startup di macchine volanti. 

La formazione montessoriana 

L’atteggiamento un po’ erratico e inusuale, per un capitano d’industria, dei due fondatori di Google affonda le sue radici nella loro formazione montessoriana. Qualcosa che lascia, a detta di molti, un segno profondo e indelebile nella personalità di chi l’ha ricevuta. 

Se la prima generazione di innovatori ha avuto l’imprinting della controcultura degli anni Sessanta e Settanta, nella generazione di Internet è stata la formazione montessoriana a determinare il comportamento e la visione del business. Quella formazione è anche un legante fortissimo. 

Peter Sims è un imprenditore di successo nonché autore di un libro importante come Little Bets: How Breakthrough Ideas Emerge from Small Discoveries. In un intervento sul “Wall Street Journal” del 2011 ha parlato perfino di una “Mafia Montessori”. Secondo lo scrittore, il metodo educativo montessoriano è il miglior viatico e l’approccio più adatto per il pensiero creativo. Lo è anche per entrare in quell’élite tecnologica in cui sono super rappresentati gli ex alunni delle scuole Montessori. 

I professori Jeffrey Dyer (Brigham Young University) e Hal Gregersen (INSEAD) hanno condotto una indagine sulla creatività nel mondo degli affari. Hanno censito più di 3000 manager e hanno intervistato 500 persone tra fondatori di società innovative o inventori di nuovi prodotti. I due professori, con loro grande meraviglia, hanno scoperto che una quantità cospicua di queste persone aveva frequentato una scuola montessoriana. Sia Brin che Page sono andati in una di queste scuole. 

Montessory kids 

In un’intervista a Barbara Walters di ABC, i due fondatori di Google hanno detto a proposito della loro educazione (a parlare è Page): 

“Ci siamo incontrati a Stanford e ci siamo subito intesi. Entrambi i nostri genitori erano professori universitari, ma non sono stati loro a indirizzarci. Buona parte del merito del nostro successo è dovuto all’educazione che abbiamo ricevuto. Siamo stati entrambi in una scuola Montessori. Il non dover forzatamente seguire delle regole o degli schemi, il poter autogestirsi, il poter mettere in discussione cose che ci venivano date per assodate ci ha permesso di agire un po’ differentemente dagli altri e diventare quello che siamo”. 

Infatti, il metodo montessoriano, assolutamente agerarchico, spinge gli allievi verso la scoperta, l’esplorazione e la libera condivisione. È quello che i due fondatori hanno trasferito nel DNA di Google, almeno del Google delle origini. 

Montessori va al Googleplex 

Brin e Page hanno voluto innestare il metodo Montessori all’interno di Google. Hanno voluto che tutti i dipendenti dedicassero un giorno a settimana allo sviluppo di progetti extralavorativi. Possono autogestire il loro tempo con le risorse della società. Da questo programma sono nati progetti importanti come Google Maps. 

Google, anche fisicamente, è un’azienda diversa da ogni altra. Il Googleplex di Mountain View è pieno di tavoli da ping pong, biliardini e videogiochi, biciclette e cappellini colorati, piscine e palestre all’aperto, impianti sportivi, prati di erba sintetica con tavolini in legno e frigoriferi pieni di cibo. Lo stipendio copre anche una parte del tempo libero. 

Sono tutti modi per stimolare a esprimere la propria creatività, sentirsi a proprio agio e rifuggire dallo stress che l’azienda più ammirata del mondo (dopo Apple) inevitabilmente produce. 

Categories: Tech