Google contro Microsoft, Sparrow contro ChatGpt. Si profila un duello tra giganti sul fronte dell’intelligenza artificiale. Se Microsoft annuncia investimenti per dieci miliardi di dollari in Open AI per integrare ChatGpt nei suoi prodotti sul cloud, mettendo a rischio il monopolio di Google nel campo dei motori di ricerca, da Mountain View già rispondono con Sparrow: un software di intelligenza artificiale che possa competere con il chatbot di Open AI. Intanto gli studenti, non solo in Usa, fanno la fila per sfruttare le competenze di questo straordinario “Bignami” elettronico, così ben mimetizzato da obbligare le autorità scolastiche australiane ad imporre tesi scritte a mano per evitare il comodo “copia e incolla”.
Contro i signori del web in campo agenzie e tribunali Usa
Certo, non è questa l’unica sfida che tormenta il comparto tech, a caccia di riscossa a Wall Street dopo un anno orribile (-33%) e le minacce in arrivo da Washington. Ieri il dipartimento di Giustizia più otto Stati, tra cui New York e California, hanno fatto causa a Google per abuso di posizione dominante sul mercato pubblicitario ed hanno chiesto lo spezzatino del motore di ricerca perché “da 15 anni conduce una politica atta e cancellare la concorrenza, manipolando il mercato al punto da obbligare inserzionisti ed editori a usare solo i loro strumenti”. Ma, anticipa il Wall Street Journal, è facile prevedere che l’offensiva giudiziaria presto si estenderà agli altri Big che in questi anni sono riusciti ad evitare la pressione del Congresso. “È probabile – scrive il quotidiano – che l’azione del Congresso, spaccato tra repubblicani e democratici resti troppo debole per far paura ai grandi del settore. Per questo, i veri pericoli arriveranno dl fronte giudiziario”. Dopo l’offensiva contro Google, infatti, stanno per ripartire le iniziative della Ftc e dell’antitrust, opportunamente rafforzate in termini di mezzi e uomini in vista delle indagini già annunciate nei confronti di Apple, Meta ed Amazon.
ChatGpt mette a rischio il monopolio di Mountain View
Anche questo spiega la cautela del Ceo di Microsoft Satya Nadella che, davanti agli analisti, ha sottolineato i rischi di una prossima frenata della domanda per il software ed evitato di enfatizzare il boom di Chat GPT che pure, nel giro di soli tre mesi dal debutto, ha suscitato il panico in casa Google, che per la prima volta vede insidiata l’egemonia del suo motore di ricerca. Non a caso perché, parlando di Open Ai, il filosofo Alexei Grinbaum (presidente del comitato etico dell’energia atomica) dice: “È dai tempi della comparsa di Google che non si vedeva emergere una tecnologia così rivoluzionaria”. Oggi, come allora, la rivoluzione parte da un pool di giovani ingegneri: nel caso di Google, Larry Page e Sergej Brin, richiamati in tutta fretta a Mountain View per contrastare la società affidata a Greg Brockman, un giovane talento di Silicon Valley che, ancor prima di fondare Open Ai, aveva messo assieme una discreta fortuna con il lancio di Stripe, una start up per i pagamenti digitali. “Ma i trasferimenti di denaro a distanza – dice – non mi sembravano una missione degna di dedicarci una vita”. A differenza dell’intelligenza artificiale cui si è votato anima e corpo l’ex studente di Harvard che, nel giorno delle nozze, ha affidato ad un robot l’incarico di portare gli anelli all’altare.
Non meno determinato appare Demis Hassabis, fondatore di DeepMind, la società di intelligenza artificiale che fa capo ad Alphabet, la casa madre di Google, che sta sviluppando una versione di prova e privata del suo chatbot Sparrow che, assicurano, disporrà di funzionalità che mancano ad Open Ai, a partire dalla la capacità di citare fonti attraverso l’apprendimento per rinforzo.
Una sera a cena nel 2015 a Silicon valley
Ma quali sono virtù e pericoli di queste tecnologie che, a detta di Elon Musk, uno dei primi a cimentarsi nella sfida tramite Neuralink, “sono potenzialmente più pericolose di una bomba atomica”?
Proviamo a capirlo partendo da un po’ di storia. L’avventura dell’Intelligenza Artificiale prende il via a metà di giugno del 2015, in una cena al Rosewood, mitico ristorante nel cuore di Silicon Valley, già teatro dei grandi affari della new economy. A promuovere l’incontro fu Sam Altman, promotore Y Combinator, uno degli incubatori più vivaci delle start up digitali, che non fece fatica a mettere attorno al tavolo Elon Musk e Peter Thiel, la coppia più potente dell’economia digitale che da sempre condivide il gusto per il mondo (anzi i mondi) che verranno: due fenomeni, niente da dire, che all’ora di cena amano immaginare la prossima vita su Marte o discutere delle tappe per garantirsi una vita (quasi) eterna. Oppure, tema della serata, l’Intelligenza Artificiale Universale. È possibile pensare ad un’intelligenza collettiva, frutto di un sapere condiviso, così come auspicava il fisico Stephen Hawking? Quale tecnologia può avvicinarci al risultato? Ecco come Brockman, uno dei giovani talenti ammessi alla cena, ricostruisce l’atmosfera dell’incontro, nella cronaca del libro “Genius Makers” del giornalista Cade Metz. ”L’atmosfera era un misto di speranze di poter dar vita un giorno a macchine capaci di risolvere problemi oggi al di là della portata degli umani, dalle malattie alla crisi dell’ambiente, e di paure per i rischi impliciti in una rivoluzione di quella portata”.
Contro Google nasce open Ai, senza scopo di lucro
Tante cose sono cambiate da quella sera. I Fondatori di DeepMind, il nucleo originario, si dividono. La società viene acquistata da Google mentre altri danno vita ad Open Ai, una fondazione non a scopo di lucro con l’obiettivo di mettere a disposizione del mercato i frutti della ricerca open source per contrastare il rischio monopolio. Una piccola impresa, forte di una dozzina di ingegneri, cinque in uscita da Google, domiciliata presso uno stabile di Musk, dove aveva sede Neuralink di Elon Musk, uscito poi dall’azionariato (ma ancor oggi in ottimi rapporti, sottolinea Brockman). In sette anni la start up si è trasformata in un’azienda hi tech: nel 2017 ha realizzato una mano/robot in grado di risolvere il cubo di Rubik.
Come scrivere una tesi o una scenografia
Nel frattempo i rivali di DeepMind hanno realizzato Alpha Zero, una rete neurale capace di affrontare centinaia di maestri di scacchi: dopo sole quattro ore di training la macchina è diventata in pratica invincibile.
E così via in un crescendo di test e di domande, sempre più inquietanti. A novembre il lancio di ChatGPT capace di rispondere alle domande più difficili, scrivere una tesi o magari una sceneggiatura per un film. Del tipo “prepara una storia in cui un taco fa a botte con un hot dog sulla spiaggia”. O qualcosa di meno onirico e meno innocuo.
1 supercomputer, 175 miliardi di parametri
Già, nel frattempo molte cose sono cambiate in Oper Ai. Non c’è più Elon Musk, uscito nel 2018, i vertici della società decidono di accettare un investimento di un miliardo di dollari da parte di Microsoft per dare vita ad una filiale a scopo di lucro capace di elaborare un software linguistico denominato GPT 2. Un tradimento dello spirito iniziale? “Ci siamo resi conto – spiega Brockman – che era necessario disporre di supercomputer da diversi miliardi di dollari per sviluppare prodotti in grado di difendersi dalla disinformazione”. Prende così il via la ricerca di GPT3, forte di 175 miliardi di parametri, capace di integrarsi nell’universo Microsoft sia per i servizi alle imprese che, presto, a Word, Power Point, Outlook o Teams. Con l’obiettivo di sfidare con il motore di ricerca Bing lo strapotere di Google. Che non intende stare a guardare.
La sfida per evitare turpiloquio ed insulti razziali
È l’ennesima sfida miliardaria. Microsoft ha puntato 10 miliardi di dollari a lungo termine. In cambio riceverà il 75% dei profitti fino a ripagarsi l’investimento per poi scendere al 49%. Ma ci vorranno tempi biblici: nel 2024 sono previste entrate per un solo miliardo a fronte dei servizi di vario tipo.
E non mancano gli inconvenienti. Anche Google dispone di una tecnologia simile, detta Transformers. Ma finora ha evitato di metterla a disposizione del grande pubblico. Il motivo? Nei programmi emergono qua e là battute razziste o sessuofobe che danneggiano il prodotto. È la conseguenza dei dati raccolti immagazzinando informazioni dal web. Un problema che, assicurano, presto sarà risolto introducendo informazioni sulle fonti più accurate di quelle di Open Ai.
Un filtro in Kenya, l’ex assistente di Obama
L’alleata di Microsoft ribatte di aver superato il problema grazie ad un complesso sistema di filtri. La società ha messo su una struttura apposita in Kenya ed in India. Non solo: nel 2021 ha assunto una responsabile, Anna Makanju, che ha lavorato per Facebook ma anche per l’amministrazione Obama e per la Corte Internazionale i Giustizia dell’Aja.
E sta per arrivare il film creato dal regista “artificiale”
Insomma, prepariamoci ad una rivoluzione cui parteciperanno senz’altro anche Meta ed Amazon. È già in arrivo GPT 4 con funzioni ancor più sofisticate, ma anche una versione capace di operare non solo sui testi ma anche sui video. Chissà che resterà della vecchia intelligenza dell’Homo sapiens.