Parola di giudice
“Anche ammettendo che la motivazione principale di Google sia il profitto, il fatto è che Google Libri serve molti importanti scopi educativi… Fa progredire le arti e le scienze, rispettando i diritti degli autori e degli altri creativi senza impattare negativamente i diritti dei titolari del copyright. È diventato uno strumento di ricerca insostituibile per gli studenti, gli insegnanti, i bibliotecari che possono identificare e reperire in modo più efficiente i libri di cui necessitano. Ha dato agli studiosi la possibilità, per la prima volta, di effettuare ricerche full-text su decine di milioni di libri. Ha la funzione di conservare libri fuori catalogo e testi dimenticati nelle biblioteche, dandogli una nuova vita. Facilita l’accesso ai libri da parte dei disabili e delle popolazioni che vivono in luoghi remoti o difficilmente raggiungibili. Crea un pubblico nuovo e produce ulteriori fonti di guadagno per gli autori e gli editori. Infatti, tutta la società ne beneficia.”
Queste sono le parole contenute nella sentenza del 14 novembre 2013 di 30 pagine redatta del giudice Denny Chin della Corte d’Appello della seconda circoscrizione del distretto sud di New York che ha dato ragione a Google nella causa Gilda degli scrittori americani (The Authors Guild, Inc) vs. Google per il progetto Google Books. Il giudice ha anche ammesso che il suo stesso ufficio utilizza Google Books per le ricerche, sottintendendo così che il servizio è una benedizione anche per il suo lavoro. La Gilda degli autori ha dichiarato che ricorrerà in appello contro la sentenza. I suoi legali hanno dichiarato che la disponibilità di estratti reperiti attraverso una ricerca dagli utenti di Google, potrebbe danneggiare la possibilità di acquisto del libro, poiché appagati da quanto trovato. Il giudice ha invece negato che l’assemblaggio di piccoli brani trovati nella ricerca, renda superfluo l’acquisto del libro.
Google, da parte sua, ha tirato un sospiro di sollievo: la causa si trascinava dal 2005 e aveva portato un sacco di tensioni tra il motore di ricerca e tutto il mondo dell’editoria libraria, autori ed editori lancia in resta, che da quel momento avevano cominciato ad abbaiare contro Google a prescindere.
Naturalmente Google aveva messo in atto il suo abituale metodo disruptivo, unilaterale e irriverente proprio del giocatore d’azzardo che si potrebbe etichettare come “metodo del fatto compiuto”; un metodo molto diffuso nei paesi totalitari.
Ritenendo, a ragione, che ricercare il consenso dei titolari dei diritti sarebbe stato come attraversare lo Stige, Google aveva iniziato a farsi mandare direttamente dalle biblioteche, che avevano aderito al progetto, bancali di libri da scannerizzare in un hangar nella baia di San Francisco. Le pagine dei libri digitalizzati finivano sui server di Google ed erano raggiungibili dal pubblico attraverso una ricerca per parola o per espressione dalla home page. Le pagine dei libri che contenevano le occorrenze della parola ricercata erano elencate, così come accade per le pagine web, nella lista dei risultati. Le pagine dei libri a stampa venivano indicizzate insieme alle pagine web, raccogliendo così in un enorme database la conoscenza scritta universale. Un disegno del co-fondatore di Google e attuale CEO, Larry Page, che non riusciva a farsi una ragione che nei libri ci fosse più conoscenza che sul web e che questa conoscenza sfuggisse a Google.
Nel 2011 gli editori si erano accordati extra giudizialmente con Google e anche la gilda degli autori aveva infine trovato un accordo per una compensazione di 125 milioni di dollari da parte di Google, ma tale accordo era stato respinto dallo stesso giudice Chin dopo che si erano avute delle proteste sul fatto che l’accordo violava i diritti degli editori e degli autori fuori dal territorio degli Stati Uniti e anche il Dipartimento della Giustizia avevo obiettato sulla possibile natura anti-concorrenziale dell’accordo.
Il programma Google Libri
Ad aprile 2013 Google aveva acquisito tramite scanner con software di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) trenta milioni di libri, la maggior parte dei quali fuori diritto o fuori catalogo. Secondo Leonid Taycher, che lavora al progetto Google Libri, nel mondo sono stati pubblicati 130 milioni di libri che Google si propone di digitalizzare in dieci anni. L’unilateralità del progetto si era molto ammorbidita nel corso degli anni e Google aveva compiuto dei passi importanti nei confronti delle controparti; per esempio biblioteche ed editori che aderiscono al programma Google Libri possono ricevere, a costo zero e non in regime di esclusiva, una copia digitale del libro acquisito dai macchinari di Google. Gli editori, impoveriti dalla crisi, possono così ricostruire, con un investimento quasi nullo, il loro catalogo in digitale. Per esempio l’editore italiano Gremese ha potuto digitalizzare un patrimonio immenso del proprio catalogo e della cultura italiana: quel Dizionario del cinema italiano in moltissimi volumi che differentemente sarebbe rimasto inchiostro su carta a causa del costo di scansione e controllo del testo composto da decine di milioni di caratteri.
Anche gli editori francesi che avevano scavato un fosso profondo intorno al loro fortino, convincendo il governo francese a varare un progetto concorrente a Google Libri, hanno gettato giù il ponte levatoio per far entrare gli scanner di Google. L’Associazione degli editori francesi ha oggi un accordo soddisfacente con il motore di ricerca nel senso che gli editori mantengono controllo (ancora il mantra del controllo) sui titoli da includere o da escludere dal programma, una decisione che Google si impegna a rispettare.
A chi è particolarmente curioso, consiglio la lettura della voce “Google Books” in lingua inglese su Wikipedia.
Continua la lettura su ebookextra