Golden Power, golden share, poteri speciali. Sono termini che negli ultimi giorni hanno conquistato le prime pagine dei giornali italiani. Il motivo? Un’indiscrezione di Bloomberg, secondo cui il Governo italiano starebbe valutando l’idea di ricorrere al golden power per limitare l’influenza di Sinochem su Pirelli, di cui attualmente il colosso cinese detiene il 37% del capitale. Lo scorso anno se ne parlò molto quando emerse il possibile interesse di società cinesi per alcuni porti italiani, tra i quali quello di Trieste, ma il caso più noto è senza dubbio quello di Tim. Nel novembre del 2021 il fondo Kkr presentò infatti una prima manifestazione d’interesse per il 100% della società di tlc. All’epoca intervenne direttamente il Mef, che attraverso una nota fece sapere di star valutando la proposta, ma anche l’esercizio del golden power sui progetti che coinvolgessero l’infrastruttura.
Ma cos’è questo golden power e perché il Governo interviene in operazioni di mercato? Quali sono i poteri che può esercitare e in che ambiti?
Che cos’è il golden power
Il golden power altro non è che uno “scudo” che il Governo può utilizzare allo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale. Si tratta, in sostanza, di tre tipologie diverse di “poteri speciali” che consentono all’Esecutivo di “dettare specifiche prescrizioni e condizioni all’acquisto di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazioni”, in società operanti in settori strategici, spiega la normativa. Il Governo deve però rispettare dei limiti basati sui principi di proporzionalità e ragionevolezza, valutando sulla base di essi se ci sia oppure no una “minaccia di grave pregiudizio” per gli interessi pubblici. Senza questi principi, infatti, il rischio è quello di andare incontro ad un uso troppo estensivo della norma, generando autarchia e distorcendo il corretto funzionamento dell’economia di mercato.
Quali sono i settori considerati strategici?
Difesa e sicurezza nazionale in primis, ma anche energia, trasporti, comunicazioni e, dal 2019, anche reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G. Sono questi i principali settori strategici su cui il Governo può esercitare il Golden Power secondo il decreto-legge n. 21 del 15 marzo 2012 che disciplina i poteri speciali e le successive modifiche apportate nel corso degli anni (nel 2019 e nel 2021 le principali). Passando dalla teoria alla pratica, società come Tim (Tlc che gestisce la rete), Leonardo (Difesa), Ferrovie dello Stato (Trasporti), sono considerate strategiche e dunque lo Stato ha la possibilità di intervenire per tutelare gli interessi nazionali.
Dalla golden share al golden power
Prima del golden power c’era la golden share. Quest’ultima venne introdotta dalla legge n. 47 del 94 allo scopo di consentire allo Stato, in caso di privatizzazione di imprese pubbliche, di conservare una partecipazione azionaria “con diritto di veto sulle scelte aziendali cruciali”. Nel 2009 però arrivò una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea che, nonostante ritenesse “legittimo e difendibile” l’obiettivo di salvaguardare gli interessi nazionali, considerò che il sistema italiano oltrepassasse i limiti, violando la libera circolazione dei capitali, scoraggiando “gli investitori che intendono stabilirsi in Italia al fine di esercitare un’influenza sulla gestione delle imprese. Inoltre esso va oltre quanto necessario per tutelare gli interessi pubblici che ne costituiscono l’oggetto”, si legge nella sentenza della terza sezione della Corte di Giustizia Ue.
Tre anni dopo, la golden share venne dunque sostituita dal golden power. Qual è la differenza principale? Con la prima lo Stato aveva la possibilità di conservare una partecipazione azionaria munita di poteri speciali, con il secondo, invece, ha un potere di intervento su specifiche operazioni in settori strategici. Ad assumere carattere speciale non è più dunque l’azione detenuta, ma l’intervento esercitato dallo Stato.
Golden power: 12 veti in 11 anni
Le valutazioni su Pirelli sono ancora in corso, ma poche settimane fa il Governo Meloni ha già utilizzato il Golden Power, ponendo il veto per fermare l’acquisizione di un’altra azienda, molto più piccola. La società in questione è Tecnologia Intelligente, specializzata in digitale e fondata da Marco Carrai, manager noto per la sua vicinanza all’ex Premier Matteo Renzi. A volerla comprare era l’olandese Nebius, provider di servizi cloud con collegamenti stretti con il colosso Yandex, noto come il “Google russo”.
Dal 2012, anno in cui è stata introdotta la normativa sul Golden Power, i diversi Esecutivi che si sono succeduti a Palazzo Chigi hanno posto il veto su 12 tentativi di acquisizione compiuti da parte di società straniere su aziende italiane considerate strategiche. Nella metà dei casi, i possibili compratori erano cinesi. Nei suoi 18 mesi a Palazzo Chigi, l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha bloccato 3 possibili acquisizioni, tra le quali il tentativo della russa Rosatom di accaparrarsi Faber Industrie, compagnia specializzata nell’idrogeno.
Nel 2021, come detto, si valutò l’esercizio del Golden Power sulla proposta di Kkr per Tim, poteri speciali che invece sono stati effettivamente utilizzati il 29 settembre del 2022 quando, su proposta dell’allora ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti (il Governo Draghi era ancora in carica per gli affari correnti), il consiglio dei ministri decise di usare i poteri speciali, sotto forma di prescrizioni in quel caso, in relazione all’approvazione del Piano Annuale 5G di Tim e di Vodafone.
E i porti? Si parlò di Golden Power anche in questo contesto allo scopo di bloccare le mire di possibili compratori cinesi impegnati in una campagna acquisti di diversi porti europei. Lo scorso novembre sulla questione è intervenuto anche il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che nella sua relazione annuale sulla sicurezza nazionale ed economica italiana, ha parlato delle infrastrutture portuali italiani come degli “asset strategici a rischio”, ricordando che “sono già state oggetto di attenzione da parte di attori stranieri. Si pensi ad esempio al caso delle interlocuzioni con il Governo cinese in occasione della sottoscrizione del Memorandum sulla Via della seta, che ha registrato anche un interesse per i porti di Savona-Vado Ligure, Venezia, Trieste, Napoli, Salerno e Taranto”.
In ogni caso, secondo il Copasir “la Cina ha avuto una strategia di penetrazione finora molto limitata. L’investimento più evidente è stato quello della gestione di minoranza del terminal di Savona – Vado Ligure, ma le premesse quando fu firmato nel marzo 2019 il Memorandum of Understanding erano ben diverse: si parlava di investire nei porti di Genova e Trieste, e anche in altre realtà. Poi Trieste è andata appunto alla società tedesca HHLA mentre a Genova vi sono altri grandi player come, ad esempio, la PSA di Singapore e APM Terminals. Rispetto alle attese, in Italia c’è stato quindi poco; è però anche da dire che dopo quel memorandum sono successi altri avvenimenti che hanno frenato la Belt and Road Initiative (Covid-19 su tutti)”, ha valutato il comitato.