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Global Tax, l’Irlanda dice sì: perché è una svolta storica

Pixabay

È arrivata una svolta storica in materia di tassazione internazionale. L’Irlanda ha aderito alla global tax del 15% per le multinazionali. Considerata il paradiso fiscale europeo per eccellenza per via della sua tassazione favorevole e degli accordi ad hoc stretti con molte società – e per questo scelta come “casa” da molti dei colossi dell’Hi-Tech statunitense tra cui Facebook, Google ed Apple – a pochi giorni dal G20 e dal nuovo meeting dell’Ocse in programma a Parigi il 30-31 ottobre, l’Irlanda ha detto sì all’accordo sulla corporate tax minima a decorrere dal 2023 a cui avevano già dato il loro via libera 130 Paesi.

L’annuncio ufficiale è arrivato ieri a tarda sera da parte del ministro delle Finanze irlandese, Pascal Donohoe, dopo il via libera del Governo di Dublino: “È un punto di equilibrio tra la nostra competitività e il nostro posto nel mondo. Assicurerà che l’Irlanda sia parte della soluzione del problema, nel rispetto del futuro assetto fiscale internazionale”, ha detto. “È una decisione difficile ma, credo, giusta e pragmatica”, ha aggiunto, rassicurando sul fatto che l’Irlanda resterà un Paese attraente per gli investimenti delle multinazionali internazionali. 

GLOBAL TAX: L’ACCORDO CON L’IRLANDA

L’ok di Dublino è arrivato dopo anni pressioni e mesi di negoziazioni da parte dell’Ocse e di molti Paesi Ue. Sin dagli anni ‘80, infatti, l’Irlanda applica un’aliquota molto bassa sui ricavi e sui profitti societari che ha spinto molte multinazionali a spostare la sede fiscale nei dintorni di Dublino. La prima fu Apple, seguita da Microsoft, Intel e negli anni 2000 da Facebook e Alphabet, la casa madre di Google. Nel 1997 l’Irlanda ha innalzato il livello di tassazione dal 10% al 12,5% per conformarsi alle norme Ue sugli aiuti di Stato, ma da allora ha sempre resistito alle pressioni degli altri altri Paesi sviluppati che da tempo accusavano Dublino di “concorrenza sleale” in ambito fiscale. Con l’adesione alla global tax la resistenza irlandese sembra finalmente caduta. 

In base a quanto previsto, dal 2023 l’imposta societaria irlandese salirà dunque dal 12,5% al 15%. La nuova aliquota si applicherà alle imprese con più di 750 milioni di euro di fatturato, mentre sotto questa soglia la tassazione rimarrà al 12,5%. Secondo i calcoli, il cambiamento riguarderà circa 1.500 aziende che in Irlanda impiegano oltre 400mila lavoratori. La global tax influirà anche sulle casse statali dato che, in base alle stime, ridurrà di 2 miliardi l’anno il gettito fiscale.

“È un passo epocale ed estremamente positivo per gli sforzi collettivi dell’Europa per costruire un sistema fiscale globale più equo e stabile”, ha twittato il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni.

OK ANCHE DALL’ESTONIA

Tra i Paesi Ue che non avevano sottoscritto l’accordo lo scorso luglio, oltre all’Irlanda c’erano anche Estonia e Ungheria. Ebbene, a poche ore di distanza da Dublino, anche Tallinn ha deciso di capitolare, dando via libera alla tassa minima sulle multinazionali: “Ci uniamo all’accordo sulla global tax”, ha annunciato la Premier Kaja Kallas, aggiungendo che questo “non cambierà nulla per la maggior parte degli operatori economici dell’Estonia, e che riguarderà solo le filiali dei grandi gruppi multinazionali”. A questo punto resta fuori solo l’Ungheria di Victor Orban, la cui adesione è però fondamentale dato che in materia fiscale l’Ue richiede l’unanimità. 

GLOBAL TAX: COSA PREVEDE L’ACCORDO

Caduto il baluardo irlandese, l’accordo sulla global tax sembra sempre più vicino. L’intesa, secondo le previsioni, potrebbe essere firmata già al G20 in programma a Washington per il 13 ottobre o, al più tardi, nel corso del meeting Ocse che si terrà alla fine del mese. 

L’intesa raggiunta a luglio a Venezia si fonda su due capisaldi. Il primo prevede l’introduzione di un’imposta minima globale del 15% sulle multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro. Parlando in parole povere, se una società paga le tasse in un Paese in cui la tassazione effettiva è inferiore al 15%, la percentuale che rimane per arrivare a questa soglia dovrà essere pagata nello Stato di residenza, che per i colossi Hi-Tech corrisponde nella stragrande maggioranza dei casi agli Stati Uniti. Da questa misura si attende un gettito complessivo pari a 150 miliardi di dollari l’anno. Il secondo caposaldo riguarda le multinazionali con ricavi superiori ai 20 miliardi di dollari e un margine operativo oltre il 10% dei ricavi. Per loro, una porzione dei profitti, pari al 20-30% degli utili che eccedono il 10%, sarà tassato nei Paesi in cui quelle società realizza le vendite, al netto della sede nominale in qualunque paradiso fiscale. Le stime parlano di un possibile gettito pari a 100 miliardi di dollari l’anno. 

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