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Gli scioperi del venerdì danneggiano i più deboli ma incantano sempre meno i lavoratori: è tempo di aggiornare le regole

FIRSTonline

Nonostante gli assist (involontari?) di Matteo Salvini, gli ultimi scioperi del venerdì hanno messo in evidenza l’inizio di un crescente disincanto, tra i lavoratori, nei confronti di un ripetuto pressapochismo scioperaiolo. La constatazione vale per l’astensione generale del lavoro effettuata (per la quarta volta in quattro anni) dalla Cgil e la Uil il 29 novembre.

Scioperi: le adesioni agli ultimi venerdì di lotta

Al di là delle percentuali ufficiali, è stato lo stesso Maurizio Landini ad ammetterlo, quando ha fornito (ad occhio) che i partecipanti alle 46 manifestazioni (erano a suo avviso le piazze lo scenario della rivolta sociale) organizzate in occasione dello sciopero erano più o meno 500 mila. Ma anche il 13 dicembre, l’ultimo dei consueti venerdì di lotta e di vacanza riservati quasi settimanalmente alle iniziative dei sindacati di base, che nelle categorie del trasporto locale hanno acquisito un’influenza diffusa (a scapito delle federazioni confederali) cominciano ad avvertirsi i primi scricchiolii nonostante l’opportunità di allungare il week end e il sovraccarico di obiettivi a giustificazione dello sciopero molti dei quali sono discutibili, campati per aria e odiosi (come sono quelli riferiti alle vicende internazionali).

Scioperi: è il caso di cambiare le regole?

In qualità di ministro competente, Salvini gestisce questi passaggi in base ad un discutibile buon senso a salvaguardia dei cittadini utenti con un uso disinvolto della precettazione anche quando gli viene meno il parere della Commissione di garanzia. Tanto che in occasione dello sciopero di venerdì scorso persino una persona di buon senso come Luigi Sbarra è stato costretto a richiamare all’ordine il ministro. Il segretario generale della Cisl ha voluto ricordare che “le norme sullo sciopero sono già codificate e condivise: non si possono cancellare con un atto unilaterale da parte di un ministro o di un governo. Una cosa è criticare l’uso rituale e compulsivo dello strumento, un fatto che danneggia soprattutto il sindacato, ben altra cosa è mettere in discussione l’attuale disciplina che ne regola l’esercizio”. È il caso di cambiare le regole?

Scioperi, come è nato l’articolo 40 della Costituzione

Prima di prendere qualsiasi decisione in proposito è opportuno ricordare come si è arrivati a dare attuazione (limitamento all’esercizio dello sciopero nei pubblici servizi essenziali) all’articolo 40 della Costituzione. Si partì da accordi di autoregolamentazione (allora fu proprio la Cgil a portare avanti questa battaglia),che valevano come regole che i sindacati si impegnavano a seguire per tutelare i diritti dei lavoratori secondo criteri che tenessero conto delle sacrosante esigenza degli utenti che non possono essere ritenuti una controparte come le imprese e le loro associazioni in altri settori produttivi e dei servizi. Le leggi hanno poi finito per recepire, consolidare ed estendere quegli accordi sotto la vigilanza di una Commissione di garanzia, autorevole e imparziale, che nei decenni di attività ha sviluppato una giurisprudenza a cui attenersi. Paradossalmente sul piano formale sono molto più attenti a rispettare le norme i sindacati “pirata” che quelli confederali.

Scioperi, un abuso?

Ma la nuova realtà sindacale che è presente in questi settori – caratterizzata da una frantumazione della rappresentanza – ha finito per determinare un abuso dello sciopero trasformato ormai in uno strumento di legittimazione di un proliferare di sigle tra loro in competizione nell’ambito di un contesto di libertà sindacale. Come ha affermato Pietro Ichino, “collocandosi al venerdì mira ad avvalersi dell’adesione opportunistica di chi vi partecipa soltanto per aggiungere un giorno di vacanza al fine-settimana. Lo sciopero avrebbe molto più valore, prestigio, peso politico, se fosse fatto nei giorni centrali della settimana; ma chi lo proclama sa che avrebbe molta meno partecipazione”.

Scioperi, i tentativi per rivedere le regole

In un passato recente – durante la XVI legislatura – sia il governo sia l’opposizione si posero il problema di rivedere le regole per l’esercizio dello sciopero nei servizi essenziali. Per il governo presentò un ddl l’allora ministro del Lavoro Maurizio Sacconi; dall’opposizione venne una proposta da parte dello stesso Pietro Ichino allora senatore del Pd. Ovviamente non se ne fece poi nulla. Come intendeva il ddl Sacconi porre rimedio a quelle astensioni da veri e propri atti di pirateria, lesivi dei diritti dei cittadini? In primo luogo, lo sciopero doveva essere dichiarato dalle organizzazioni più rappresentative. Per proclamare un’astensione dal lavoro i sindacati minoritari erano obbligati a sottoporsi ad un referendum. Veniva poi stabilito l’obbligo per i lavoratori di dichiarare l’intenzione di astenersi (o meno) dal lavoro, per consentire alle autorità interessate di predisporre adeguati piani di emergenza e garanzia degli utenti.

Infine, l’eventuale revoca doveva avvenire con un congruo anticipo e non all’ultimo momento tranne che nel caso di stipula di un accordo sindacale. Si trattava di modifiche ragionevoli che, tra le altre cose, intervenivano a reprimere i blocchi stradali e ferroviari, effettuati spesso da minoranze sfuggite al controllo non solo del sindacalismo confederale, ma anche di quello più radicale e corporativo. Sono materie quest’ultime che sono state ricomprese nel decreto sicurezza oggi contestato dalle opposizioni e dal sindacalismo di sinistra.

Diritto allo sciopero, cosa dice la proposta di Ichino

Più di recente, Pietro Ichino – in un’intervista a Rita Querzé, sul Corriere della Sera del 13 novembre 2023 – ha ribadito le misure che sosteneva nella sua precedente proposta. “Nel settore dei servizi pubblici essenziali – secondo l’autorevole giuslavorista – si potrebbe introdurre la regola che si applica in molti grandi Paesi europei per cui la proclamazione deve essere approvata da una certa percentuale dei lavoratori interessati. Occorrerebbe inoltre applicare correttamente – proseguiva – una regola che c’è già. Quella che obbliga tutte le parti, imprenditori, sindacati e lavoratori, a preavvertire gli utenti di ciò che funzionerà e ciò che non funzionerà durante lo sciopero. Oggi i lavoratori del settore vengono indebitamente esonerati dal dichiarare, con l’anticipo previsto dalla legge, la propria adesione (o no) allo sciopero. La conoscibilità preventiva dell’adesione delle singole persone consentirebbe di rispettare un diritto che la legge attribuisce ai cittadini, nel campo dei servizi pubblici essenziali: quello a conoscere almeno con cinque giorni di anticipo i treni che viaggeranno, le classi di una scuola i cui insegnanti saranno regolarmente al lavoro, e così via. Questa è la parte della legge che oggi non viene rispettata”.

Come si vede, non sarebbe difficile mettersi d’accordo anche oggi. Senza scomodare strumentalmente la violazione della sacralità del diritto di sciopero.

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