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Gli immigrati ci impoveriscono? In Svizzera è il contrario

Nel Paese elvetico il 27 settembre si terrà un referendum per ridurre la circolazione dei lavoratori stranieri, anche comunitari. Sono accusati di penalizzare i salari degli svizzeri, ma uno studio dimostra che è vero il contrario.

Gli immigrati ci impoveriscono? In Svizzera è il contrario

Una settimana dopo che in Italia si sarà votato sul taglio dei parlamentari, anche i cittadini svizzeri saranno chiamati ad esprimersi su un quesito referendario. L’appuntamento ci riguarda per due motivi. Intanto perché l’oggetto della consultazione, promossa dal partito dell’Unione democratica di centro (Udc), è la limitazione alla circolazione nel Paese elvetico dei lavoratori comunitari – i cosiddetti transfrontalieri che molto spesso sono italiani – rivedendo dunque l’accordo di libera circolazione firmato nel 1999 con l’Unione europea (di cui la Svizzera non fa parte). E poi perché il dibattito innescato dal referendum ha dato una risposta all’annoso quesito: è vero che gli stranieri “rubano” il lavoro ai locali o comunque fanno dumping salariale, penalizzando le buste paga in questo caso degli svizzeri? La risposta l’ha data uno studio condotto dalla prestigiosa American Ecinomic Review ed è persino sorprendente.

Se infatti intuitivamente si potrebbe pensare che con l’aumento della domanda di lavoro gli stipendi subiscano una pressione verso il basso, gli economisti guidati da Andreas Beerli e Michael Siegenthaler sono riusciti a dimostrare che in Svizzera in questi anni ciò non è accaduto. E semmai è accaduto il contrario. L’analisi prende in considerazione le zone di confine, dove negli ultimi 20 anni i pendolari transfrontalieri sono più che raddoppiati, arrivando a quota 330.000 lavoratori (in un Paese da 8,5 milioni di abitanti totali). I numeri dicono che in queste aree l’occupazione e gli stipendi della popolazione locale non sono diminuiti, anzi gli svizzeri più qualificati hanno persino beneficiato della maggiore concorrenza: i loro salari sono aumentati del 5% in più rispetto a quelli delle regioni interne, dove non c’è stato un impatto significativo di lavoratori stranieri.

Come è stato possibile? Intanto, perché non è vero che dai Paesi confinanti, tra cui l’Italia, arrivi solo manodopera a basso costo. La liberalizzazione del 1999 ha aperto anche la strada all’arrivo di lavoratori qualificati nei settori basati sulla conoscenza, come l’informatica o la farmaceutica. Così gli investimenti e la ricerca sono aumentati progressivamente, con risultati evidenti: le aziende più vicine ai confini hanno depositato più brevetti, inoltre l’accesso al personale qualificato ha anche stimolato la nascita di nuove imprese. E quando le aziende crescono o ne spuntano di nuove, servono anche più dirigenti, ruoli che secondo l’American Economic Review sono spesso rivestiti dagli svizzeri: ecco perché i loro stipendi sono aumentati. Insomma politiche migratorie più tolleranti hanno permesso alle aziende elvetiche di trovare i dipendenti di cui avevano bisogno per fare il salto di qualità.

Secondo lo studio, infatti, oggi i due terzi dei pendolari sono altamente qualificati, cioè laureati (il 50%) o con diploma parauniversitario. Nel 1980 meno del 20% degli immigrati aveva un titolo universitario, mentre oggi solo un quinto degli immigrati ha qualifiche considerate scarse. La situazione si è rovesciata da un lato perché il livello di istruzione nei paesi di origine è aumentato, dall’altro perché sono le stesse aziende svizzere a chiedere ai dipendenti stranieri qualifiche sempre più alte. E cosa succede invece ai lavoratori svizzeri meno qualificati? Lo studio in questo caso non arriva ad una conclusione certa, ma dal punto di vista statistico esclude che ci siano stati effetti negativi sull’occupazione o sui salari.

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