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Giustizia e politica, incerti scenari di mezza estate

Se non ci fossero di mezzo lo spread che sale, la crescita che non c’è e la disoccupazione che aumenta, ci si potrebbe limitare a concludere con Ennio Flaiano che “in Italia la situazione è grave, ma non è seria“. E quanto accaduto in quest’ultima settimana, nella quale è bastato che la Cassazione annunciasse che il terzo grado di giudizio sul processo Mediaset (imputato Silvio Berlusconi già pesantemente condannato in primo e secondo grado) si sarebbe svolto a partire dal 30 luglio per evitare la ghigliottina (sia pure parziale) della prescrizione, perché la politica italiana (in particolare quella che riguarda il Pdl e il Pd) andasse in corto circuito, assumendo comunque connotati farseschi prima che drammatici.

Riassumiamo i fatti. I primi a contestare la fissazione della data così ravvicinata sono stati gli avvocati di Berlusconi, professor Coppi compreso. E’ mai possibile, si sono chiesti costoro, che soltanto per Berlusconi la giustizia sia così zelante e tempestiva? Come dire: se lo vogliono giudicare subito, allora lo vogliono davvero condannare. Naturalmente queste considerazioni degli illustri avvocati hanno immediatamente scatenato il cerchio magico dei politici fedelissimi del Cavaliere. E così è partita subito una corsa al rialzo. La Santanchè ha proposto occupazioni da parte del popolo della destra di autostrade e linee ferroviarie, Schifani e Gasparri hanno subito alzato il tiro sul Governo, o meglio sui governativi del Pdl, con un perentorio “ora il Governo rischia”. 

Il tutto veniva agilmente tradotto dal capogruppo Brunetta nella richiesta di tre giorni di stop ai lavori parlamentari, un po’ per protestare, un po’ per consolare un Berlusconi sempre più rattristato (qualcosa a metà tra la rivolta l’elaborazione del lutto). Naturalmente la richiesta di Brunetta non poteva essere accolta. E così alla fine la Pdl si è dovuta accontentare di una breve sospensione per consentire una riunione dei suoi gruppi parlamentari. 

Insomma, le prime battute del caso Cassazione ci hanno mostrato una Pdl tanto rumorosa quanto inconsistente. Partita con il diktat di Brunetta, alla fine ha ottenuto soltanto un atto di fair play da parte di Zanda e Speranza, capigruppo Pd. Il tutto mentre il presidente del Consiglio Enrico Letta non spostava neanche di un minuto la sua partecipazione al question time della Camera. Eppure il Pd riusciva nel capolavoro di importare nel proprio campo le difficoltà politiche del suo concorrente (avversario non si può dire, perché ci sono le larghe intese). E così nel partito di Epifani era un succedersi tutti contro tutti: i renziani che accusavano gli altri di non essere abbastanza antiberlusconiani, gli altri che reagivano accusando i propri compagni di partito di strumentalizzare a fini congressuali quanto accaduto, presentando come una sconfitta quella che invece poteva essere presentata come una vittoria, ovvero aver respinto il diktat del capogruppo della Pdl. Il tutto mentre si succedevano dichiarazioni al limite della contumelia (evocando sciacalli e qualcosa d’altro). A conferma delle tensioni congressuali che non facilitano la vita interna di un partito, appena reduce da un rilevante successo elettorale in un importante turno di elezioni amministrative.

Ma, nel frattempo, qualcosa cambiava soprattutto nella Pdl. Berlusconi, che tutti davano “irato ai patri numi”, secondo l’immagine del Foscolo, tornava a travestirsi da statista e sdrammatizzava: “Sono sicuro dell’assoluzione, il governo Letta deve andare avanti, ci sono i problemi del Paese”. E poi ha rivolto ai falchi del suo partito un invito a fare “ammuina”, se proprio va fatta, sull’Imu e sull’Iva. Come mai questo cambio improvviso di direzione? Dicono che i suoi avvocati (linea Coppi?) abbiano scoperto che se a giudicare Berlusconi saranno i giudici che operano in Cassazione nel periodo feriale, questo potrebbe essere favorevole all’imputato. Tra loro invece di toghe rosse ci sarebbero esponenti delle correnti più conservatrici della magistratura. E poi ci potrebbe essere un ulteriore breve scorrimento dei tempi per la Difesa. Insomma, pur rispettando i termini della prescrizione si potrebbe tirare fino a settembre. E c’è anche chi dice che con un gesto teatrale Berlusconi potrebbe rinunciare alla prescrizione. Vedremo.

Già, ma intanto la politica? Il Governo Letta? E il tema dell’ineleggibilità del Cavaliere, che alcuni nel Pd considerano comunque praticabile? E la proposta Mucchetti, che consentirebbe a Berlusconi di restare in Senato solo se lascerà la guida delle sue aziende? “Un esproprio proletario”, hanno tuonato i supertifosi del Cavaliere. Ma, soprattutto, siamo sicuri che a un Berlusconi condannato e prossimo ad essere espulso dalla vita pubblica convenga mettere in crisi l’attuale maggioranza, che è l’unica cosa che può ancora consentirgli di mantenere un minimo d’influenza politica? Credo di non essere il solo a pensare che, anche nel caso dei più neri scenari, al Cavaliere convenga restare in campo. Anche, come si diceva una volta nel calcio, infortunato all’ala. Il problema è semmai che cosa succederà nel suo movimento e nella sua corte. I falchi che faranno? Gli attacchi ad Alfano e ai governativi si infittiranno? Continueranno i tentativi di rendere al Pd sempre più indigeribili le larghe intese?

Già, il Pd. Anche qui si intravedono scenari incerti e confusi: il congresso, l’assalto alla leadership di un Renzi sempre più determinato ma forse anche un po’indebolito. E poi il ruolo della nuova generazione post-bersaniana: Civati, Cuperlo e altri. Senza contare che, anche e soprattutto se dovesse dissolversi il governo di necessità, un ruolo centrale nel Pd potrebbe averlo Enrico Letta, già da ora attento a non farsi logorare dal peso delle larghe intese.

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