All’infinita serie di libri che ha scritto nella sua vita, Giulio Sapelli, illustre storico dell’economia e opinionista decisamente fuori dal coro, potrebbe ora aggiungere un pamphlet dal titolo accattivante. “Premier per una notte”.
Dopo l’incontro di domenica pomeriggio a Milano con i leader della Lega, Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, e dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora, la sua candidatura a premier del nascente governo giallo-verde era sul tavolo. “Mi hanno fatto l’esame del sangue” confesserà il Professore qualche ora dopo. Ma è bastato che ieri mattina la sua candidatura cominciasse a circolare pubblicamente per vederla sfiorire in poche ore. Colpa della loquacità e della franchezza di Sapelli, che non ha nascosto la disponibilità condizionata ad assumere l’incarico che gli era stato proposto? Troppo facile liquidare la storia così.
L’impressione che Di Maio abbia bluffato e abbia finto di dare il via libera all’ipotesi Sapelli per giocarsi le ultime carte e guidare lui il nuovo governo è fortissima. Specialmente dopo la dura reazione all’uscita dal Quirinale di Matteo Salvini, che aveva ideato e sostenuto l’ipotesi Sapelli e che ha poi rimesso in forse l’alleanza con i Cinque Stelle.
Ma tutto ciò non cancella lo stupore, destato fin dalla prima ora dalla candidatura Sapelli, in chi conosce bene il Professore e in chi ne ha sempre apprezzato l’anticonformismo, sempre colto anche se non sempre condivisibile, soprattutto sulla politica estera e sulla visione internazionale: ma come può diventare premier un outsider nato, uno che non rinuncia mai a dire la sua anche se sa di essere scomodo? Dubbi più che fondati quando Sapelli ha scoperto le carte facendo capire con le sue prime dichiarazioni due cose: 1) un intellettuale del suo calibro non rinuncia alla sua libertà di pensiero nemmeno per la vanità di diventare Presidente del Consiglio; 2) a settant’anni uno come Sapelli non accetta di fare il premier per finta e, se deve andare a Palazzo Chigi, vuole esercitare le prerogative di capo del governo e scegliere almeno il ministro più importante, quello dell’Economia.
Ma proprio su quest’ultimo punto è cascata la maschera dei Cinque Stelle. Sapelli voleva che Domenico Siniscalco, di cui è amico e di cui apprezza da sempre le doti intellettuali, tornasse a fare il ministro dell’Economia come aveva già fatto ai tempi nel secondo governo Berlusconi. Ed è qui che i Cinque Stelle sono usciti allo scoperto negando che la candidatura Sapelli, di cui avevano discusso la sera prima a Milano, fosse mai stata sul tavolo. Autonomia del premier? Non scherziamo, al massimo dev’essere un notaio. Con buona pace del paradigma con cui il leader dei Cinque Stelle aveva annunciato l’arrivo della Terza Repubblica: indietro i partiti, avanti i cittadini.
In molti pensano che Sapelli sia stato ingenuo, ma non è detto che questa sia la chiave giusta per spiegare il tramonto di una candidatura a premier decisamente controcorrente. Ma come poteva mai pensare Sapelli che i Cinque Stelle gli lasciassero carta bianca nella scelta del ministro dell’Economia? L’illusione di poter scegliere il successore di Quintino Sella al ministero di Via XX Settembre era ovviamente destinata a durare solo qualche ora, ma la mossa di Sapelli ha di fatto scoperto i giochi di Di Maio e dei Cinque Stelle. Semplice ingenuità o sottile astuzia? Giulio Sapelli ce lo spiegherà nel prossimo pamphlet.