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Giro: trionfa Froome, ma le buche di Roma rovinano la festa

Giro d'Italia

Non è stata una domenica romana facile per Di Maio e il partito pentastellato: dentro i saloni del Quirinale Mattarella non è arretrato di un passo di fronte alla richiesta dell’avvocato Conte di far Savona ministro del Tesoro, un braccio di ferro che ha fatto abortire il governo giallo-verde, aprendo tra il Colle e i due partiti che hanno vinto le elezioni un braccio di ferro costituzionale mai visto prima nella storia repubblicana. Nelle stesse ore fuori, sul piazzale antistante il palazzo presidenziale, passava il Giro d’Italia per la passerella finale ma che dopo appena il primo giro dei 10 in programma rischiava di finire anzitempo per la protesta dei corridori: troppe buche, troppi sanpietrini sconnessi, un asfalto usurato e rattoppato alla bell’e meglio da far vergognare chi l’avrebbe dovuto sistemare, sapendo da oltre sei mesi che sarebbe arrivata la corsa rosa.

È vero che alla fine è stata una bella festa popolare, come ha sottolineato la sindaca Raggi, ma Roma, che inquadrata dall’alto degli elicotteri della Rai appariva nella sua grandiosità di città caput mundi, avrebbe fatto bene a evitare questa figuraccia che avrà certamente una lunga coda di polemiche. Qualcuno si è subito chiesto che fine orrenda avrebbero fatto i piedi di Abebe Bikila, l’etiope che vinse correndo scalzo la maratona olimpica nel 1960. Altri vorrebbero poter domandare a Carlo Galletti, vincitore nel 1911 del primo Giro concluso a Roma, se anche allora le strade erano così mal ridotte.

L’ironia e le imprecazioni sul web si sprecano. A quelle dei corridori di oggi si è posto rimedio, evitando un imbarazzante stop alla corsa, dopo una trattativa on the road tra gli organizzatori in auto e Froome e Viviani in bici, con la decisione più opportuna, quella di neutralizzare immediatamente  i tempi della tappa. Negli archivi del Giro la 21esima frazione dell’edizione 101 verrà ricordata solo per l’ordine di arrivo senza prendere i tempi: una non-tappa che è però servita a Sam Bennett di portare a tre il suo bottino di successi al Giro, precedendo Elia Viviani ai Fori imperiali su un pavé degna della Roubaix.

Sono loro i due big delle volate in un Giro senza altre grandi ruote veloci, tanto da totalizzare insieme ben sette vittorie, con l’italiano in maglia ciclamino a quota 4, primo anche nella classifica a punti. Una volta che la tappa non contava più per la classifica, nel gruppo è tornato il sereno, con Froome in maglia rosa e gli altri uomini classifica a passo cicloturistico impegnati a gustarsi le bellezze uniche della Capitale, prima della parata finale della maglia rosa assieme ai suoi compagni del Team Sky. È il primo successo di un britannico al Giro, per Froome un trionfo che gli mancava per entrare davvero nella “hall of fame” dei grandissimi di ogni epocatempo.

Ecco le pagelle del Giro: promossi, rimandati e bocciati di un’edizione tra le più belle ed emozionanti degli ultimi anni, con l’epica di cavalcate solitarie da leggenda e l’esplodere di devastanti cotte come ai vecchi tempi di Coppi e Bartali.

Chris Froome: 10 e lode. Aveva iniziato il Giro in sordina. Più cadute che frullate, era anche finito fuori della top ten. Tanto che ci si chiedeva se avesse ancora voglia di proseguire una corsa dove aveva fatto già due fallimentari apparizioni nel 2009 e nel 2010, quando addirittura fu espulso per essere stato colto al traino di una moto sul Mortirolo. Il britannico che furoreggiava nelle prime due settimane non era lui, ma Simon Yates. Ma dallo Zoncolan in poi la terza settimana è stata quella del suo ritorno, un gigante che nel tappone del Colle delle Finestre ha fatto saltare il banco scrivendo una delle pagine più belle del ciclismo di ogni tempo.

Tom Dumoulin: 9. In un Giro in cui sono tornati i distacchi di una volta, è stato l’unico a limitare il gap dalla maglia rosa sotto il minuto. Non è uno scalatore ma anche sulle erte più dure, lui cronoman formidabile sul passo, non crolla mai. L’anno scorso conquistò il suo Giro battendo Quintana nella crono finale di Milano. Quest’anno ci ha provato sull’ultima ascesa di Cervinia ma non ce l’ha fatta riconoscendo con grande sportività la superiorità di Froome e accontentandosi di un secondo posto pur sempre di prestigio.

Miguel Angel Lopez: 8. Alla fine, approfittando anche delle sventure di Pinot, riesce a salire sul podio come terzo, con la sua maglia bianca di leader dei giovani. Un risultato più che confortante per il colombiano che in salita è tra i più forti in circolazione, anche se in questo Giro non ha mai dato l’impressione di poter staccare tutti realizzando quell’impresa che finora gli è sempre mancata.  Ma è giovane e in una Colombia che teme l’affievolirsi della vena di Nairo Quintana, il “pittore” – come è stato sopranominato Lopez da Riccardo Magrini nelle sue cronache su Eurosport – può diventare l’alternativa più valida del Condor, soprattutto se mette fine a qualche distrazione di troppo..

Ricard Carapaz: 8. E’ il volto nuovo dell’Ecuador sui pedali. Andino e come tale scalatore, Carapaz è stata una delle piacevoli rivelazioni di questo Giro, confermando di non patire più di tanto le tre settimane di corsa. Quarto a un soffio da Lopez con cui era in gara per la maglia bianca, Carapaz ha dato all’Ecuador anche la prima vittoria nella corsa rosa con l’impresa solitaria a Montevergine.

Domenico Pozzovivo:  7 e mezzo.  A 35 anni si è presentato al suo 12esimo Giro come capitano della Bahrain-Merida in assenza di Vincenzo Nibali. Non vale lo Squale, ma ha onorato alla meglio i galloni avuti dalla sua squadra. Senza la défaillance, peraltro abbastanza contenuta, nella tappa dello Jafferau, quella dell’attacco di Froome, il “Pozzo” sarebbe stato sul podio come terzo. Chiude il Giro al quinto posto, ripetendo il suo miglior piazzamento del 2015 (maglia rosa Quintana). Peccato che non riesca mai a centrare un successo di tappa. Di gran lunga è stato, comunque, il più bravo dei corridori italiani. Senza di lui il pedale italiano dovrebbe salire alla decima posizione in classifica per trovare un altro azzurro, Davide Formolo.

Simon Yates: rimandato (ma con lode). A guardare la sua classifica finale, 21esimo a oltre un’ora e un quarto da Froome, meriterebbe un bel 4, ma come si fa a bocciare senza appello questo britannico che per le prime due settimane del Giro è stato il protagonista principale della corsa? Tre vittorie di tappa, una più bella dell’altra, tanti piazzamenti, maglia rosa fino alla tremenda cotta accusata nella terz’ultima tappa del Colle delle Finestre: per l’esuberante leader della Mitchelton-Scott è stato un Giro assolutamente da non gettare, deve solo rielaborare la cocente delusione mettendo a frutto questa esperienza dall’esito amaro per gestire meglio in futuro le energie che gli sono venute meno a 72 ore dalla fine del Giro, nel momento decisivo .

Esteban Chaves: 4. Il colombiano che sorride sempre meriterebbe anche un voto più basso se non avesse lasciato il segno della sua vittoria sull’Etna (anche per gentile concessione di Yates che conquistava quel giorno la maglia rosa). Uscito dalla classifica per la devastante crisi nella tappa di Gualdo Tadino all’indomani del riposo dopo la frazione del Gran Sasso, il colombiano – maglia rosa per un giorno e secondo nel Giro 2016 vinto da Vincenzo Nibali – si pensava che si mettesse al servizio di Yates in maglia rosa, formando una coppia tra le più temibili al Giro. Invece Chaves ha risalito lo Stivale standosene sempre nelle retrovie della corsa,  accumulando un distacco siderale e finendo nell’anonimato più totale un Giro che alla vigilia lo vedeva addirittura tra i papabili per la vittoria finale dietro ai due superfavoriti, Froome e Dumoulin.

Thibaut Pinot: 4. Era terzo sul podio dopo aver dato l’anima sullo Jafferau. Quando sembrava aver centrato l’obiettivo (minimo o massimo) che si era proposto, il francese è precipitato nella giornata più nera della sua carriera alle prime asperità della Susa-Cervinia, una tappa che si è trasformata in un doloroso calvario con il corpo in totale disidratazione tanto da essere ospedalizzato ad Aosta dopo l’arrivo a oltre 45 minuti dal vincitore Mikel Neive. Un ritiro amaro per un corridore che dopo aver fatto suo il Tour of the Alpes puntava tutta la sua stagione sul Giro sperando di migliorare il quarto posto ottenuto l’anno  scorso quando vinse anche una tappa ad Asiago.

Fabio Aru: 3. Cosa sia successo nel fisico e nela testa del campione d’Italia è un mistero. Sta il fatto che il “Cavaliere dei quattro Mori” è stata la pallidissima fotocopia dell’Aru della vittoriosa Vuelta. Mai in corsa, sempre staccato, il suo Giro si è trascinato di delusione in delusione con una sequenza di crolli sempre più pesanti dallo Zoncolan a Sappada fino a quello definitivo sul Colle del Lys, quando il sardo è sceso dalla bici dando addio al suo Giro da incubo. Un corridore tutto da resettare e rimettere a nuovo.

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