Christopher Froome aveva una casella vuota – quella del Giro – nel suo palmarès di vittorie per entrare nel club ristretto dei corridori che hanno vinto le tre grandi corse a tappe del calendario ciclistico. Missione compiuta anche se alla fine del Giro ufficialmente manca ancora la passerella di oggi ai Fori imperiali di Roma. Froome, rintuzzati senza grandi sforzi gli ultimi tentativi di Tom Dumoulin di staccarlo sulla lunga salita finale di Cervinia, ha di fatto messo la sua griffe anche sulla corsa rosa che si aggiunge ai 4 Tour e alla Vuelta già vinti. Un triplete prima di lui centrato solo da sei grandissimi del pedale di ogni epoca: Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault, Contador e Nibali. Non solo, Froome può vantarsi anche di aver trionfato consecutivamente in Tour, Vuelta e Giro, un filotto pazzesco nel giro di appena, come riuscirono a fare solo Merckx e Hinault nel loro periodo d’oro. Un grandissimo, questo britannico nato in Kenia e cresciuto in Sudafrica, che in questo Giro, prima con l’assolo sullo Zoncolan e poi con la fuga da leggenda scattata sullo sterrato del Colle delle Finestre, ha mostrato un cuore e un coraggio che hanno entusiasmato anche chi lo riteneva fino a oggi solo un perfetto calcolatore, una sorta di robot sui pedali che vinceva grazie a una squadra formidabile che anestetizzava ogni tappa. Oggi è il giorno del suo trionfo, quello più sofferto come l’ha ammesso lui stesso indossando per la prima volta la maglia rosa, che per la prima volta finisce sulle spalle di un britannico. Ed è un po’ la costante dei Giri finiti a Roma, in tutto quattro, di vedere nuove bandiere sul podio più alto: nel 2009 fu quella russa a sventolare salutando il successo di Denis Menchov, 68 anni fa a trionfare fu lo svizzero Hugo Koblet, primo straniero in rosa, precedendo di oltre 5 minuti Gino Bartali. Era il Giro del 1950, quello della caduto di Fausto Coppi a Primolano.
Alla partenza da Susa per l’ultima tappa di montagna nella carovana c’era tanta stanchezza e molta rassegnazione. La mazzata di Froome aveva lasciato il segno. La classifica, con un ritardo di appena 40”, dava a solo Dumoulin qualche chance di tentare una missione impossibile. Ormai la corsa aveva trovato il suo padrone naturale, quello più forte, abituato ai grandi giri, che nella terza decisiva settimana di corsa trova forze che altri non hanno più. Dumoulin si è confermato il suo rivale più tenace, provando fino all’ultimo di staccare Froome, ma alla fine anche a Cervinia ha dovuto cedere una manciata di secondi, sei per l’esattezza, al vincitore del Giro, che ora lo distanzia di 46”. Quanto pesi la terza settimana di corsa sulle gambe dei corridori, ne sa qualcosa Simon Yates che solo fino a Iseo sognava di poter vincere il Giro e che le tre tappe alpine hanno visto precipitare nel baratro di una crisi fisica irrimediabile. Dopo i 38 minuti di ritardo a Jafferau, ieri l’ex maglia rosa – protagonista assoluto delle prime due settimane di corsa – è arrivato a oltre 45 minuti dal vincitore, il suo compagno di squadra, lo spagnolo Mikel Nieve. Così Yates finisce il Giro al 22esimo posto a oltre un’ora e un quarto da Froome. Addirittura non riuscirà a finire il Giro Thibaut Pinot, partito da Susa terzo e quindi sul podio, e letteralmeente scoppiato sul secondo colle della tappa, il Saint Pantaléon. La sua tappa è stato un calvario, in preda a un’ìnfezione intestinale il francese è riuscito ad arrivare a Cervinia, stravolto e vomitando appena sceso dalla bici tanto da essere ricoverato all’ospedale ad Aosta. Lascia amaramente il podio a Miguel Angel Lopez, terzo e maglia bianca del primo dei giovani, tallonato dall’ecuadoriano Ricard Carapaz. Primo degli italiani è Pozzovivo, quinto a 8’03” da Froome, tornato nella top five dopo la resa di Pinot.