Erano anni che il Giro attendeva Chris Froome, il padrone del Tour. Senza di lui il Team Sky erano cinque anni di fila che inanellava clamorosi flop con le partecipazioni fallimentari o sfortunate dei vari Wiggins, Porte, Landa e Thomas. C’era la location del tutto nuova di Gerusalemme come sede di partenza che faceva del Giro la prima grande corsa a tappe a svolgersi su due continenti.
C’erano (e ci sono) tutte le premesse perché il Giro che parte oggi da Gerusalemme e che starà in Israele per le prime tre tappe potesse entrare subito nella storia. Ma non c’è disciplina sportiva come il ciclismo che ami farsi del male e autoflagellarsi. I fatti sono evidenti. Il ritorno al Giro di Froome fu annunciato in pompa magna dagli organizzatori a novembre in occasione della presentazione dell’edizione 2018.
Ma l’entusiasmo di Mario Vegni, il patron della corsa rosa, fu subito smorzato nell’apprendere qualche giorno dopo che il quattro volte vincitore del Tour era finito sotto inchiesta dell’antidoping per tracce doppie al consentito di salbutamolo, emerse in un controllo al termine della settima tappa della Vuelta. Si sperava che nell’arco di qualche mese, comunque prima dell’avvio del Giro, il tribunale dell’antidoping giungesse a una sentenza di assoluzione o colpevolezza.
Ma evidentemente era pretendere troppo dai burocrati del pedale mondiale tant’è che ora si parla di una decisione che potrebbe arrivare addirittura dopo il Tour de France che Froome ha in programma di correre a luglio dopo il Giro incrociando anche Nibali e Quintana, i grandi assenti di questo Giro.
Una situazione a dir poco imbarazzante: lo attendono migliaia di km con tante salite mitiche che hanno fatto la leggenda del Giro e del Tour, tutte da correre sub judice. Sono in molti – tra cui lo stesso Tom Dumoulin, vincitore del Giro 2017 – a sostenere che Froome avrebbe fatto bene ad autosospendersi,ma il britannico convinto della sua innocenza non ha voluto rinunciare ed è pronto all’avventura rosa. Ed è qui per vincerla, da super favorito della vigilia.
Il britannico punta a far suo il terzo grande giro consecutivo dopo i trionfi nel Tour e nella Vuelta 2017, un filotto riuscito solo in passato al grande Merckx. Per Froome non si tratta, però, di un esordio al Giro: dalle nostre parti vi era già stato poco più che ventenne nel 2009 e nel 2010, ma furono presenze impalpabili, da signor nessuno: la prima volta non andò oltre il 32° posto, l’anno dopo addirittura venne squalificato alla 19esima tappa per essersi fatto trainare da una moto.
Correre con la spada di Damocle che tutto quel che farà possa essere azzerato da una sentenza con valore retroattivo non è semplice. Froome cerca comunque di far trasparire sicurezza e tranquillità. Da sempre è stato al centro di voci e sospetti su possibili “aiutini” per le sue frullate dagli altissimi watt ma fino alla Vuelta scorsa mai era stato pescato fuori legge.
Il salbutamolo è del resto un broncodilatore che Froome utilizza con tanto di prescrizione medica per debellare l’asma di cui è afflitto. Ma se per un comune mortale un eccesso di spruzzi inalati è solo un sovradosaggio, per un ciclista è doping. Poco importa se non sono da bollino rosso come l’ormone della crescita o l’epo, l’oro rosso proibito nel linguaggio di Lance Armstrong.
Inspiegabile a dir poco è che dopo otto mesi il caso resti ancora aperto, creando un pericoloso vulnus nel pieno svolgimento della stagione agonistica. Ha un bel dire Vegni che il Giro terrà fede all’esito della strada. La realtà è che in caso di squalifica, Froome si vedrebbe privato non solo della Vuelta vinta l’anno scorso ma anche dell’eventuale successo al Giro e addirittura di quello che farà al prossimo Tour.
Il doping va combattuto e sradicato ma i tempi lunghi e sempre più postdatati delle sentenze creano incertezze, confusione e polemiche a non finire. Quelle che stanno infuocando la vigilia di questo Giro, che vede Tom Dumoulin, l’ultima maglia rosa in carica, e Fabio Aru come unici possibili ostacoli al trionfo del britannico.
Aleggia l’incubo che si ripeta quel che è accaduto a Contador nel 2011, una vicenda strampalata e ingiusta che è costata al campione spagnolo non solo la vittoria nel Tour 2010 – e passi perché era la corsa in cui il Pistolero venne trovato positivo al clenbutenolo – ma anche quella del Giro 2011 dove Contador, dominatore assoluto, venne controllato ogni giorno senza mai risultare fuori norma.
Dopo il Giro quell’anno Contador corse sempre sub judice anche il Tour puntando alla quarta vittoria, ma lo affrontò senza la determinazione di sempre, con la testa rivolta più che alla maglia gialla a Losanna dove i soloni del ciclismo stavano per emettere la sentenza sul suo caso. Gli appiopparono due anni di squalifica a partire dal luglio 2010: il suo Tour venne assegnato ad Andy Schleck mentre la maglia rosa conquistata a Milano passò a Michele Scarponi.
E quell’inno della Spagna franchista che per errore fu suonato per festeggiare la vittoria inutile del Pistolero in piazza del Duomo apparve una burla da scherzi a parte come tutto il Giro.Il rischio che con Froome si ripeta questa pagliacciata sportiva è alto. Ecco perché tutto il Giro, non solo Froome, parte sub judice anche se a Gerusalemme è festa grande la festa per la prima volta della corsa rosa nella Terra promessa.