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Giro d’Italia: il ritorno del doping

Nel giorno in cui il Giro, con la tappa di Vajont, ricorda la terribile tragedia di 50 anni fa che ha spazzato via Longarone e quasi duemila vite, il caso di Sylvain Georges, corridore francese della Ag2R trovato positivo a uno stimolante proibito, ricorda al ciclismo – che cercava di dimenticarsene – che il doping è una piaga che resiste al di là del caso Armstrong e del processo  spagnolo a Emiliano Fuentes, il medico dell’Operacion Puerto.

Saranno scorie di una lunga stagione in cui nel gruppo e nell’ambiente il “no dope, no hope” era la convinzione generalizzata, ma il comunicato dell’Unione ciclistica internazionale relativo a un controllo effettuato alla settima tappa ha risvegliato vecchi fantasmi, infrangendo quella verginità che il Giro si augurava di ritrovare anche grazie all’aiuto dei suoi principali protagonisti, tutti corridori da Nibali a Cadel Evans, da Wiggins e Hesjedal, mai finiti nella rete dell’antidoping e che anzi hanno pubblicamente denunciato – è il caso in particolare di Sir Bradley –  come fasulli troppi vincitori del Tour del passato, prima ancora che scoppiasse lo scandalo di Armstrong. 

Esemplare la anche scelta di Hesjedal nel dire no all’aiuto chimico quando il canadese ha troncato di netto il rapporto con la Phonak, la squadra di Tyler Hamilton, dove l’Epo era di casa. L’allontanamento dal Giro di Georges, se rievoca il brutto back-stage del ciclismo, non turba la classifica della corsa rosa visto che il francese occupava l’81esimo posto a oltre un’ora dalla maglia rosa Nibali. 

Anche l’ordine d’arrivo dell’undicesima tappa ha lasciato invariata la graduatoria generale. Ha vinto per distacco il lituano Ramunas Navardauskas, già balzato alle cronache del Giro dell’anno scorso avendo indossato la maglia rosa dopo la crono a squadre di Verona: per la Garmin Sharp, che in questi giorni ha sofferto la debacle del suo capitano Hesjedal, è stata ieri una giornata finalmente di rivincite con la vittoria al Giro doppiata (in serata per via del fuso) da quella di Tyler Farrar nella quarta tappa all’Amgen California Tour. 

Il Giro al Vajont si è concesso una tappa di tregua tra i big rimandando a quelle del week-end il compito di dare nuove scosse tra le alte gerarchie del Giro con l’arrivo di sabato al Jafferau  e di domenica sul mitico Galibier. Tappe per giganti, che possibilmente non soffrano il freddo visto che le previsioni meteo prevedono addirittura temperature sotto zero in vetta. Un clima, quello che accompagna il Giro di quest’anno diametralmente opposto a quello che sta incendiando la California dove si sta correndo la più importante corsa a tappe americana che vede in lizza campioni del calibro di Peter Sagan (vincitore della terza tappa a Santa Clarita), Andy Schleck e l’iridato Philippe Gilbert. 

Qui da noi i corridori cercano spesso rifugio dal freddo e dalla pioggia – e sulle Alpi sarà quasi inverno! -, laggiù negli States si è costretti invece a rifornirsi di enormi quantità di ghiaccio, che viene infilato sotto la maglietta e dentro i calzoncini ,  per “raffreddare” i ciclisti al limite dell’asfissia e del collasso per la calura vicina ai 45°, tanto segnava il termometro all’arrivo tra le brulle e assolate montagne di Palm Spring. 

Tornando al Giro, Jafferau e Galibier saranno un test probante per le forze in campo che si disputano la vittoria finale. Fin qui non c’è dubbio che Nibali sia il meritato leader, il numero uno tra i candidati al successo, ma negli ultimi giorni la sua squadra è apparsa meno autoritaria, colpa di qualche acciacco di Agnoli e del palese affaticamento di Kangert (che si è forse spremuto troppo nella cronometro di Saltara dove è arrivato terzo). Dietro allo Squalo c’è un Cadel Evans, distanziato di 41” che fino a oggi ha disputato un Giro senza mai perdere le ruote dei primi (il distacco da Nibali dipende solo dagli abbuoni e dalle due cronometro). 

Ma più di Evans l’attuale maglia rosa dovrà guardarsi dall’attacco che gli porterà la Sky che continua a indicare in Wiggins il suo alfiere ma si prepara a giocare alla grande la carta di Uran Uran che nell’ascesa all’Altopiano del Montasio ha ribadito quanto già si sapeva: il colombiano è uno scalatore nato, una rarità in questo Giro. E come tale, viste le tante montagne che attendono i girini, prende sempre più corpo l’idea che Uran diventi il capitano della Sky scambiandosi il ruolo con Wiggins pronto a indossare le vesti di eccezionale luogotenente. 

Per decidere quale strategia adottare, in casa Sky hanno disposizione 48 ore, il tempo occupato dalle prossime due tappe che sono un intermezzo per velocisti: in particolare per Mark Cavendish, che dopo il ritiro di John Degenkolb, potrebbe anche sognare una doppietta consecutiva.  

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