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Giro d’Italia, è festa australiana in attesa della “crono dei vini”

La gioia australiana (vittoria di Michael Rogers,  maglia rosa sempre Cadel Evans) che ha riempito ieri Savona –  per la quinta volta sede di tappa del Giro –  stride con il ricordo sempre vivo del dramma di Merckx. E’ passato quasi mezzo secolo ma dal 1 giugno 1969 Savona per chi segue il Giro evoca il disperato pianto del campionissimo belga espulso dalla corsa che stava dominando come solo lui sapeva fare, polverizzando tutti. Al termine di una tappa senza sussulti, che arrivava nella città ligure, il Cannibale in maglia rosa veniva pescato positivo a un farmaco proibito, la fencamfamina, uno psicostimolante che allevia la fatica.  Non era mai accaduto niente di simile, il caso fece scalpore varcando i confini dello sport. A favore del grande Eddy scese in campo sul Corriere della Sera anche Indro Montanelli con un fondo “Tutti a casa”. Si parlò di una borraccia malandrina. Il Giro ripartì con Felice Gimondi che rifiutò per una tappa di  vestire la maglia rosa. Poi lo vinse facilmente. Merck si rifarà alla grande al Tour.

Altri tempi, altro ciclismo quando di corridori australiani non c’era nemmeno l’ombra. Tutt’al più se ne trovavano alcuni, anche ottimi, nelle specialità della pista come Sydney Patterson, campione mondiale dell’inseguimento nel lontano 1950.  Savona, messo in disparte il ricordo delle lacrime di Merckx, ha festeggiato alla grande il boom dei ciclisti australiani,  che fin qui stanno dominando il Giro in attesa degli acuti colombiani,  di Quintana e di Uran, sulle grandi vette. A Savona questa volta a vincere è stato Michael Rogers della Tinkoff-Saxo, primo in solitario con una manciata di secondi sul gruppo dei migliori.  E’ il primo successo in un grande giro per Rogers, tre volte mondiale a cronometro, classe 1979,  che alla fine della stagione scorsa se l’è vista brutta con l’antidoping che l’ha colto positivo al clenbuterolo al Bejing Tour, la stessa sostanza che inguaiò il suo capitano Contador al Tour de France del 2010: entrambi incolparono una bistecca contaminata, spagnola per Contador, cinese per Rogers. Contador non riuscì a convincere le autorità e fu sospeso per due anni perdendo un Tour e un Giro stravinti sulla strada. Rogers, invece, se la cavò e ha potuto tornare subito a gareggiare.

Australiana è anche la maglia rosa per il quarto giorno consecutivo sulle spalle di Cadel Evans, il più celebre dei canguri in bici per trionfi e popolarità, che l’ha conquistata a Montecopiolo, dopo che per una settimana era stata indossata dal connazionale Michael Matthews, vincitore di Montecassino, che ieri non è partito per una ferita alla coscia, pago di quanto fin qui fatto. Un festival australiano come mai si era visto prima al Giro.  E la crono dei vini di oggi, da Barbaresco a Barolo, ha caratteristiche che ben si addicono alle qualità di Evans che potrebbe irrobustire il vantaggio sugli scalatori puri, pronti a dargli battaglia sulle Alpi e sulle Dolomiti. Il boom australiano è figlio del ciclismo globale che l’Uci sta sostenendo in modo spregiudicato fino a mettere in calendario in contemporanea al Giro d’Italia,  l’Amgen California Tour, il Giro del Giappone, quello di Norvegia: un allargamento geografico e temporale di orizzonti che sta eliminando squadre storiche – come molte italiane – per via dei costi altissimi che si devono affrontare per attrezzare team impegnati nello stesso tempo su più fronti. Ed è un australiano dell’Orica GreenEdge, Luke Durbridge, quello che ha avuto la peggio nella cascatona quotidiana che ha coinvolto decine di corridori nella discesa del Passo di Cento Croci. Per Durbride clavicola rotta e immediato ritiro dal Giro. Ha tenuto duro, invece, Diego Ulissi, ammaccato anche lui nella paurosa carambola, ma sulla salita del Naso di Gatto ha perso le ruote dei migliori e si è lasciato sfilare nelle retrovie.

Non è crollato ma all’arrivo Ulissi ha accusato un ritardo di oltre 4 minuti precipitando in classifica dove fino a Salsomaggiore era brillantemente nella top ten. Uscito fuori dei giochi il leader della Lampre-Merida, stoico ma sempre più barcollante Michele Scarponi, le speranze tricolori si aggrappano a Pozzovivo e Fabio Aru, senza tralasciare il vecchio Ivan Basso, che finora è rimasto sempre agganciato al treno della corsa. Dopo la cronometro di oggi – 41,9 km con 12 di ascesa al 3% e finale all’insù – si potrà stilare un check-up meno vago sullo stato di salute dei pretendenti – o pseudo tali – alla vittoria finale a Trieste. 

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