Ci saranno tre tappe di dura montagna, dieci di difficoltà media, sei pianeggianti e tre cronometro: il Giro d’Italia 2020, svelato ieri a MIlano, per la quattordicesima volta partirà dall’estero. Toccherà all’Ungheria a ospitare per tre giorni la carovana rosa, con la suggestiva mini-crono di apertura, 8,6 km nelle strade di Budapest, con arrivo sull’antica collina di Buda, al di là del Danubio, che domina la capitale magiara. Qualunque sia il percorso, decisivo resta come viene interpretato dai corridori. È un dogma da sempre che vige nel ciclismo.
Vincenzo Torriani, lo storico patron del Giro, nel 1954 inserì il Bernina che sarebbe dovuto essere il trampolino di lancio di un’impresa epica come lo era stato lo Stelvio con Coppi l’anno prima. Fu un clamoroso flop con il gruppo che praticamente scioperò senza un minimo cenno di battaglia. Quel Giro, uno dei più brutti della storia rosa, era stato deciso in una tappa quasi totalmente piatta, da Napoli a L’Aquila con la fuga a due di Assirelli e Clerici, lo svizzero che conquistò la maglia rosa portandola fino a Milano. Excursus storico a parte, le prime due settimane di corsa – che ripartirà per la quarta tappa dalla Sicilia – presentano un’altimetria che non dovrebbe attirare velocisti e finisseur.
“Abbiamo dovuto livellare le difficoltà pensando anche alle Olimpiadi che si svolgeranno l’anno prossimo”, ha spiegato il direttore del Giro, Mauro Vegni. Tante colline, poche vere montagne, un po’ come il Giro del maggio scorso che alla fine è risultato tra i meno appassionanti e combattuti degli ultimi anni. Vedremo come andrà nel 2020. Tranne la scalata all’Etna nella quinta frazione e l’ottovolante sugli Appennini tosco-emiliani nella 12esima, il Giro punterà verso nord non perdendo mai di vista la piatta litoranea adriatica, con esclusione totale del versante tirrenico, penalizzando Campania, Lazio, Toscana e Liguria, come mai era successo nelle edizioni del dopoguerra.
Solo nell’ultima settimana sono state concentrate le maggiori difficoltà con tre tappe clou, senza dubbio affascinanti e di spessore: quella di Piancavallo con partenza dalla base aerea di Rivolto e arrivo sulla cima che esaltò Pantani nel suo trionfale Giro del 1998, quindi la Pinzolo-Laghi di Cancano con la “cima Coppi” posta ai 2757 metri del mitico passo dello Stelvio, e alla penultima giornata l’Alba-Sestrière con la scalata, prima della salita finale, del Colle dell’Agnello e dell’Izoard con la sua lunare Casse déserte: un finale che piace a Ricard Carapaz, l’ecuadoriano vincitore a sorpresa dell’ultima edizione della corsa rosa, che vorrebbe essere anche alla partenza il 9 maggio a Budapest “ma – ha detto lo scalatore andino durante la cerimonia di ieri – la decisione finale sulla sua partecipazione verrà presa d concerto con il Team Ineos”, cui è approdato dopo aver lasciato la Movistar.
E alla Ineos ci sono altri tre big che si chiamano Chris Froome, che vorrà tentare di vincere il quinto Tour, Egan Bernal,l’ultima maglia gialla a Parigi, e Geraint Thomas, che pare intenzionato a dirottare i suoi obiettivi 2020 sul Giro. Non sarà facile combinare gli impegni e le aspirazioni di questi quattro galli nel pollaio del team inglese con Carapaz, ultimo arrivato con tanto di maglia rosa indosso conquistata l’anno scorso. Con Carapaz alla presentazione del Giro 2020 c’era anche Peter Sagan, il fuoriclasse slovacco che ha vinto sei maglie verdi al Tour come leader della classifica a punti, ma che non ha mai preso il via alla corsa rosa.
“Ci sarai quest’anno?” Gli è stato chiesto e lui sornione ha risposto sorridendo: “Vediamo…”. Una risposta che alla fine è sembrata più un sì che un no, anche perché il percorso, soprattutto la prima metà senza grandi salite, non dispiace affatto al tre volte campione del mondo, ruota veloce e finisseur d’eccezione, anche se la prima maglia rosa sembra destinata a essere indossata da uno specialista del cronometro, con quell’arrivo in salita che ricorda la prima tappa del Giro 2019 con la vittoria di Primoz Roglic al Santuario bolognese di San Luca. Quella di Budapest sarà la prima delle tre tappe contro il tempo inserite dagli organizzatori.
La seconda, quella più lunga di 33,7 km, si svolgerà il 23 maggio da Conegliano a Valdobbiadene, nelle terre del prosecco, mentre l’ultima sarà in chiusura del Giro, da Cernusco sul Naviglio a Milano di 16,5 km. Due anni fa, dall’Autodromo di Monza a piazza del Duomo, la crono fu fatale a Nairo Quintana che perse la maglia rosa a favore di Tom Dumoulin, che precedette il colombiano e Vincenzo Nibali. Lo Squalo non era a Milano ma dagli Stati Uniti, dove si trova in questi giorni, ha mandato un messaggio di saluto e di omaggio a una corsa che l’ha visto trionfare già due volte ma non ha voluto svelare i suoi programmi. Ma è prevedibile che Nibali sarà ancora della partita con la nuova casacca della Trek-Segafredo, pronto a difendere il pedale azzurro che spera anche nel recupero di Fabio Aru dopo due annate travagliate, un rilancio su cui ha scommesso ieri Giuseppe Saronni, ex grande del ciclismo degli anni Ottanta, oggi team manager della Uae, la squadra del sardo.