Una mostra tra sogno e spiritualità quella che ci offre l’artista e designer Giovanni casellato. Opere che volano verso la libertà e che ci raccontano le sofferenze intime dell’uomo. Ed è l’opera “Maddalena”, in tre versioni diverse, l’ultimo “pensiero creativo” che si presenta quasi in preghiera, forse un invito a riflettere e a comprendere meglio il ruolo della madre non solo come donna ma anche come custode di eterni sentimenti sublimati dallo stesso ricordo.
Le opere scelte da Giovanni Casellato per il progetto “Matera Capitale Europea della Cultura 2019”, alcune alte più di due metri, ma caratterizzate da naturale levità, sono sculture e bassorilievi creati dall’artista negli ultimi tre anni, frutto di una ricerca introspettiva e di un percorso spirituale che si sono tradotti in figure che raccontano strati profondi della sua interiorità attraverso precise e riconoscibili simbologie.
Tra i lavori, le “Anime”, forme verticali che si stagliano verso l’infinito, leggere e fluide come l’etere, i “Danzatori di sufi”, simbolo dell’amore universale, privo di limiti e confini, le “Betulle”, che rappresentano la purezza e sacralità della natura e la “Maddalena”, che Giovanni Casellato sta ancora plasmando e che sarà terminata per l’inaugurazione della mostra. La Maddalena è un opera che va oltre la figura di madre, di moglie e di Madonna dentro cui la cultura, religiosa e non, ha sempre incorniciato le donne, fino a rappresentarne l’amore senza limiti. E ancora gli “Aquiloni”, creazioni iconiche di Casellato che escono dagli schemi e dalle aree di comfort. Simbolo di leggerezza, di gioco, di volo verso l’alto, l’aquilone riesce a volare solo se ha un filo che tira in senso contrario.
“L’intento dell’esposizione è quello di far intraprendere, a chi osserva, un viaggio spirituale attraverso forme che tendono all’essenza e alla purezza, con l’uso del colore bianco che si contrappone alla gravità del metallo. Un colore assoluto che sublima la materia pesante e trasporta la mente nel puro luogo del niente” dichiara Giovanni Casellato.
La mostra curata da Chiara Casarin, direttore dei Musei di Bassano del Grappa, ha luogo all’interno del convento di Sant’Agostino, ed è allestita sia nella sala polifunzionale che negli antichi ipogei utilizzati per la prima volta come spazio espositivo. Il complesso monastico di Sant’Agostino, oggi sede della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali, il cui nucleo antico è databile tra il X e l’XI secolo d.C., domina, da uno sperone roccioso, il Sasso Barisano della città di pietra, ed è circondato da profondi baratri. I monaci dell’ordine degli Eremitani fondarono il convento nel 1592 annettendovi la chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie.
Giovanni Casellato: laurea in Architettura presso lo IUAV di Venezia, da diversi anni si occupa di design e scultura, utilizzando il ferro come materiale da cui partire per i suoi lavori. Ha esposto in alcune delle maggiori città Italiane ed Europee, partecipando anche alla Biennale di Venezia nel 2008 invitato dal Ministero dell’Ambiente. Menzionato da Banca Aletti quale scultore per investimento d’arte. Giovanni ricerca in ogni pezzo il fascino del “pezzo unico”, lavorando meticolosamente sulla linea e sulla finitura in modo da valorizzarne il suo aspetto naturale.
Il suo racconto di sè: Convivo con il metallo da quando ero bambino, prima di me due generazioni di fabbri. Ricordo l’odore per me nauseante del liquido usato per raffreddare le seghe circolari durante il taglio dei profili nel laboratorio, il rumore a volte assordante, a volte armonico. Il dolore al contatto occasionale con tubi, lamiere, riccioli o decori appena forgiati accompagnati da un “sta tento” di mio padre. Il ferro, un metallo che ho imparato ad amare lavorandolo e che uso quasi con sfida perché è sporco, pesante, difficile da gestire, scomodo da trasportare. Un gioco, una alchimia tra conoscenza e statica, sfruttandola e sfidandola per ottenere illusioni, cercare di dare leggerezza a strutture molto pesanti come il Nastro agli occhi morbido e leggero nelle curve e pesa come una utilitaria, o gli Aquiloni, che seppur di ferro volano. Sfruttare la metamorfosi dello stesso favorendo processi di ossidazione, esaltando i toni caldi dal marrone al giallo ocra o smerigliature, per contrastare i grigi naturali della calamina del ferro, contribuendo a togliere quel luogo comune che vede il ferro naturale verniciato trasparente come una finitura esteticamente fredda. Appena laureato, sono stato selezionato per partecipare ad una esposizione durante il Salone del Mobile di Milano con oggetti di design da me disegnati e autoprodotti in diversi materiali, compreso il ferro. Questo mi ha dato la possibilità di confrontarmi e conoscere molti maestri come Achille Castiglioni che mi esortò ad usare il ferro come materiale da cui partire per i miei progetti, vista la capacità che avevo di plasmarlo, lontano dai canoni tradizionali del ferro battuto, e io l’ho ascoltato. I miei primi approcci con il mondo dell’arte nascono successivamente, in contemporanea all’innamoramento di questo materiale e alla nascita dei miei figli, fondamentali “muse” ispiratrici del mio lavoro, con gli Aquiloni di Filippo e le Barchette di Laila. Riuscire a staccarsi dalle destinazioni d’uso pratiche e dedicarsi alla pura interpretazione di oggetti e non oggetti che a me suscitano curiosità o regalano sorrisi. L’uso di tecniche diverse per affrontare l’uno o l’altro tema con il bisogno di sperimentare come l’Arazzo o i Gomitoli o Canzone di Marinella. Quasi che appropriatomi di una tecnica di lavorazione per raccontare o rappresentare un soggetto, diventasse dopo obsoleta nell’approccio con il progetto successivo. Il mio percorso di crescita lo vedo attraverso le mie opere, penso alla diversità tra la Mano di Brunello e i Dervisci, tra la Farfalla esposta in Biennale di Venezia e le Anime. Evoluzione o involuzione come riflesso del mio stato d’animo espresso in modo anche inconscio dalle cose che ho progettato e realizzato. Osservo le sculture in ordine cronologico e rivivo le emozioni provate mentre crescevano, ripercorro le difficoltà, le gioie, le fatiche, i cali e i picchi di energia nella fase embrionale, le risate, le imprecazioni. Penso alla fortuna che ho nel vivere il mio lavoro con passione, interpretare fisicamente concetti o riflessioni, riconosciute e fatte proprie da persone che se ne appropriano per esaltare il loro spirito o semplicemente perché vedendole strappano un sorriso, rievocano ricordi.