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Giovanilismo? No grazie, contro le caste meglio il bis di vecchi saggi come Monti e Napolitano

Assurdo prendere l’età come metro di selezione della classe dirigente perchè, come diceva il celebre Carlo Cipolla, i cretini sono equamente distribuiti per fasce d’età e per categorie – Il problema vero è che oggi manca l’ascensore sociale per i giovani a cui si chiudono tutte le porte con il rischio di drammatiche rotture generazionali

Giovanilismo? No grazie, contro le caste meglio il bis di vecchi saggi come Monti e Napolitano

Se dipendesse da me chiederei al Presidente Napolitano di restare al Quirinale per almeno altri due anni e al prof. Monti di presiedere anche dopo le elezioni un Governo di Grande Coalizione per tutto il tempo necessario a fare le riforme e a riaprire al Paese la via dello sviluppo. Nessuno dei due è giovane ma sono però le persone delle quali l’Italia ha oggi in assoluto più bisogno.

Trovo perciò difficile capire chi fa dell’età il metro di misura per selezionare la classe dirigente. L’età, di per se stessa, non è garanzia né di serietà né di competenza. Come ha dimostrato in modo inoppugnabile nel suo immortale ” Allegro ma non troppo ” il grande storico dell’economia Carlo M. Cipolla, il numero dei Cretini è equamente distribuito per fasce d’età e per categorie e non varia né col variare dell’età né col passaggio da una categoria all’altra. Il vero problema, caso mai, è quello di evitare l’alleanza fra i Cretini e i Mediocri. Se ciò dovesse accadere si creerebbe infatti un blocco talmente forte da essere praticamente invincibile e contro il quale, come osservava Goethe, persino gli Dei sarebbero impotenti.

Il “giovanilismo” è perciò una sciocchezza, che però può anche diventare un crimine come fu col fascismo in Italia e con la rivoluzione culturale in Cina. Se questo è vero, come credo lo sia, perché allora oggi ritorna fuori? La ragione, a mio avviso, va ricercata nel fatto che si è fermato l’Ascensore Sociale e che, in conseguenza di ciò, ad un numero inaccettabile di giovani è precluso l’accesso al lavoro e ai livelli più alti di responsabilità nell’economia, nella politica e nella cultura. Quando io ero giovane (negli anni sessanta) ai giovani erano aperte tutte le porte: c’era lavoro, c’erano possibilità di carriera e il ricambio della classi dirigenti era costante e avveniva in tutti gli ambiti. L’Ascensore Sociale, insomma, funzionava.

Noi protestavamo contro tutto e tutti , come sempre i giovani fanno anche se non sempre hanno ragioni valide per farlo, ma chi ci aveva preceduto aveva creato le condizioni perché noi un futuro potessimo provare a costruircelo. A 26 anni ero diventato segretario nazionale della Fgic, l’organizzazione giovanile comunista (allora una potenza) e componente della Direzione nazionale del Pci (il mitico Polit Bureau). Mi furono assegnate importanti responsabilità nel campo delle politiche del lavoro e dell’industria e a 39 anni ero già deputato. Un anziano dirigente del Partito soleva lamentarsi di questa apertura ai giovani che lui riteneva eccessiva dicendo: “Quando ero giovane io comandavano gli anziani e adesso che sono anziano io a comandare sono i giovani” e, a onor del vero, non aveva tutti i torti.

Oggi le cose sono radicalmente cambiate. Nella politica, nelle professioni, nelle imprese e persino nel mondo dello spettacolo i giovani che riescono ad emergere si contano sulle dita di una mano. Le porte del mondo del lavoro si sono chiuse e la stragrande maggioranza di quelli che riescono a varcarle lo fa come precario e si considera già un fortunato. L’articolo 18 ha garantito alla mia generazione il posto fisso ma ha contribuito ad erigere quelle barriere che oggi impediscono ai giovani di averne uno. E’ duro doverlo ammette, ma l’oceanica manifestazione sindacale contro la riforma dell’art. 18 organizzata al Circo Massimo dalla Cgil di Cofferati, è stata, in realtà, la più grande manifestazione contro i giovani della storia d’Italia, una prova suprema di egoismo generazionale.

Ai giovani non solo non è garantito un futuro ma ad essi sembra essere negata persino la speranza di poterne avere uno. E’ una cosa terribile, che non ha precedenti nella storia della nostra Repubblica. Per avere una idea dell’enormità di ciò che sta accadendo dobbiamo tornare con la memoria alla prima guerra mondiale. E’ come se una intera leva di giovani,colti e bene addestrati, anziché essere avviata al lavoro fosse stata chiamata alla armi e fosse poi scomparsa in guerra. Una perdita secca per tutta la società! Il giovanilismo è una risposta sbagliata ad un problema che è però reale : quello cioè della promozione dei giovani. L’Italia è tutt’ora una società chiusa, castale ed oligarchica. Una società dove dominano le corporazioni, dove i privilegi divengono col tempo diritti acquisiti e dove si progredisce non perché si è bravi ma perché si è vecchi. Una società , come dice Luigi Zingales, nella quale il merito non conta nulla e le relazioni sono tutto. L’unico modo per promuovere davvero i giovani sarebbe quello di correggere queste storture riformando profondamente l’Italia.

Se non lo facessimo rischieremmo davvero una Rottura fra le generazioni che, come Antonio Gramsci ci ha insegnato, è la più grave delle sciagure che possono colpire un Paese. Se perciò il giovanilismo è una stupidaggine la rottura generazionale sarebbe certamente una tragedia.

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