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Giosetta Fioroni, Roma anni ’60

La mostra, Giosetta Fioroni. Roma anni ’60, curata da Marco Meneguzzo, Piero Mascitti ed Elettra Bottazzi (Archivio Giosetta Fioroni), in collaborazione con la Fondazione Rocco Guglielmo, l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, la Fondazione Zoli, l’Associazione culturale Spirale d’Idee e l’Associazione culturale Accademia, ripercorre i primi anni della carriera dell’artista romana, attraverso settanta tele e carte d’argento realizzate tra gli anni sessanta e i primi anni settanta del secolo scorso, momenti cruciali della sua ispirazione.

Il percorso espositivo è inoltre ricco di documenti provenienti dall’Archivio Fioroni, come i bozzetti de “La Spia Ottica”, performance che inaugurò nel 1968 il Festival Il Teatro delle Mostre, i disegni degli abiti di scena per l’opera Carmen, diretta da Alberto Arbasino nel 1967 per il Teatro Comunale di Bologna, i film in Super8 e 16mm del 1967, le illustrazioni per le copertine di libri.

“La mostra di Giosetta Fioroni – afferma Rocco Guglielmo, direttore artistico del MARCA – celebra una delle artiste più importanti del Novecento e s’inserisce nel più vasto progetto di valorizzazione del Museo, che lo porterà a consolidare la sua posizione tra le realtà più attive del sud Italia e dell’intera nazione”.

“Con questa iniziativa, dal grande valore storico-scientifico, il Museo MARCA – prosegue Rocco Guglielmo – intende stringere nuove collaborazioni con istituzioni culturali italiane e internazionali”.

La rassegna si apre con le opere prodotte a cavallo tra la fine del 1950 e l’inizio del decennio successivo, caratterizzate da quell’estrema leggerezza e freschezza di toni che ritorneranno anche in momenti successivi del percorso artistico di Giosetta Fioroni. Lavori come Galeon (1959), Il segreto in azione (1959-1960), Laguna (1960), Interno con freccia rossa (1960), La lampadina (1960), L’amour (1962), Interno famigliare (1963), L’orologio (1963) sono un accumulo apparentemente indistinto di oggetti, immagini, simboli semplici e coloratissimi, siano essi cuori, labbra, frammenti di parole, numeri, su uno sfondo quasi piatto che li costringe a una relazione serrata.

La svolta alla sua figurazione avviene tra il 1963 e il 1964, data della sua partecipazione alla Biennale di Venezia, passata alla storia come la “Biennale della Pop”, dove il suo lavoro si confronta direttamente con quelli degli artisti romani quali Franco Angeli, Tano Festa, Titina Maselli, Mario Schifano, vertici di una temperie culturale che prenderà il nome di “Pop romana” e che la vide, fin da subito, assoluta protagonista.

La composizione, per almeno un quinquennio, si struttura secondo andamenti chiari, quasi didascalici: non c’è più l’accumularsi di segni e immagini come su un muro, quanto si avverte il comparire di fotogrammi, affiancati e sovrapposti – come in Cosmesi, del 1963-1964, che segna l’avvio di questo periodo – o le tele accostate le une alle altre che rafforzano il senso di sequenza, di narrazione, di sviluppo nel tempo, come ne L’incubo (1964), Ragazza TV (1964), Doppio Liberty (1964-1965), Villa R (1965), Ragazza a villa R (1965) o nel ritratto a Goffredo Parise, lo scrittore vicentino che divenne suo compagno di vita per oltre un ventennio.

In questa fase, Giosetta Fioroni assume come cifra distintiva il colore argento che caratterizzerà i suoi lavori tra il 1964 e il 1967. Sono anni in cui sperimenta nuovi soggetti e in cui il vento della contestazione la porta ad affrontare temi politici che s’insinuano attraverso la dimensione della memoria personale.

Le immagini che ora la interessano, nel biennio 1967-1968, provengono da fotografie che la riguardano, ovvero che ineriscono al periodo della propria infanzia o a quello storico nel quale si è sviluppata, segnato dal regime fascista: spesso si tratta di bambini o di giovani irreggimentati, come in Bambino solo (1968) o in Obbedienza (1969), o di sé stessa da fanciulla, come in Autoritratto a nove anni (1966), in cui all’aspetto più propriamente storico-politico si sovrappone quello psicologico di un’età fragile e fondamentale, che l’ha sempre interessata.

Questo versante ‘impegnato’ di Giosetta Fioroni si indirizza all’antropologia, alla psicologia e alla sociologia degli anni dell’infanzia, a partire dalla fiaba alla quale dedicherà un ampio ciclo – La guardiana delle oche (1969), La bella addormentata nel bosco: Rosaspina (1969-1970) – che si estenderà fino agli anni Settanta.

Il decennio e il percorso espositivo si chiude idealmente con Grande freccia che indica la casa in campagna. È un lavoro che segna il suo abbandono alla mondanità che aveva caratterizzato, fino ad allora, la sua vita. Con Goffredo Parise decise infatti di lasciare Roma per ritirarsi a Salgareda, minuscola frazione di un piccolo paese sul Piave. Nell’opera, una piccolissima casetta sull’orizzonte viene evidenziata da una gigantesca freccia segnaletica, quasi una stella cometa sopra la sua nuova capanna, come se entrambi dicessero: “Siamo qui, e per ora intendiamo restarci”.

 Accompagna la mostra, un’importante monografia (Silvana Editoriale) che presenta un saggio critico di Marco Meneguzzo, un’intervista di Elettra Bottazzi a Giosetta Fioroni che ripercorre l’avventura creativa dell’artista negli anni sessanta, e documenti storici, alcuni dei quali inediti, frutto delle ricerche condotte dall’Archivio Giosetta Fioroni.

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