L’acceso dibattito dei giorni scorsi scaturito intorno alla liberazione di Silvia Romano ha dimostrato come molti cittadini italiani, classe dirigente compresa, siano poco consapevoli dell’importanza cruciale del continente africano per l’economia e la politica estera del nostro Paese, nonché della sua complessità, vastità e diversità.
Pochi sanno che l’Italia è il primo investitore europeo in Africa, con un flusso IDE pari a 9,8 miliardi di euro (comprendendo nel calcolo anche investimenti non duraturi). I dati segnalano come l’interesse dei privati a commerciare e a fare impresa al di là del Mediterraneo sia in forte crescita: nel 2019, Sace prevedeva un ulteriore aumento annuo dell’export italiano verso l’Africa del 5,5%, come riporta la rivista Africa&Affari.
Inoltre, la riforma della cooperazione del 2014 ha assegnato alle aziende private un ruolo maggiore nell’implementazione dei progetti: il gruppo Cdp ha affiancato l’agenzia di cooperazione (AICS), diventando una banca di sviluppo al pari di quelle di altre nazioni occidentali, mentre la Sace, sua controllata, assiste le grandi aziende italiane e le PMI ad entrare in questi mercati più rischiosi e poco conosciuti.
Occorre sottolineare come il mondo imprenditoriale italiano non sia l’unico settore a mostrare sempre più interesse verso il continente a noi vicino. Il Ministero degli Esteri, che oggi celebra in forma digitale la Giornata dell’Africa 2020 contro la pandemia, ha manifestato una rinnovata attenzione per questa cruciale area geografica attraverso diverse azioni, come la recente apertura di nuove Ambasciate in Niger, Guinea Conakry e Burkina Faso (per un totale di 28 sedi in 55 Paesi del continente) e attraverso l’organizzazione dell’iniziativa Italia-Africa. Le numerose ONG italiane sono invece presenti da decenni sul continente, così come il settore religioso che vede, oltre la storica presenza dei missionari, l’attivismo diplomatico della Comunità di Sant’Egidio.
Dal 2013 in poi, le Afriche hanno conquistato sempre più spazio anche nell’agenda degli esecutivi (ne è la prova il numero considerevole di visite ufficiali nel continente). Tuttavia, la politica non è riuscita a stare al passo su questo fronte, continuando a vedere l’Africa quasi esclusivamente sotto l’aspetto dell’immigrazione, tralasciando ogni strategia di lungo periodo. L’idea di un’Italia che funga da ponte verso l’Africa, perseguita da politici come Salvatore Foderaro e Mario Pedini, appartiene al passato.
Se, da un lato, Giuseppe Conte ha visitato diversi paesi sub sahariani durante i suoi due Governi, cercando di dare continuità alle azioni dei suoi predecessori (che era sostenuta soprattutto dal dinamismo dell’ex-viceministro Mario Giro, in carica sia durante il Governo Renzi che con quello Gentiloni), dall’altro la voce “Africa” non è stata messa in cima alle priorità geopolitiche delle sue legislature. La proiezione della politica estera italiana in Africa si è estesa al massimo fino alle coste libiche, mettendo in luce la mancanza di una chiara e decisa strategia nazionale nei confronti di un continente sempre più al centro delle relazioni internazionali.
Queste esitazioni, dettate da esigenze elettorali e dalla perenne instabilità interna, hanno fatto sì che la politica nazionale non sia riuscita a garantire coordinamento e lungimiranza, rimanendo indietro (insieme al mondo dei media) rispetto alle priorità e alle necessità dei vari attori nazionali attivi nei Paesi africani.
La crisi Coronavirus potrebbe essere l’occasione per intensificare i rapporti tra l’Italia e l’Africa. Il nostro Paese potrebbe avviare una diplomazia sanitaria a favore dei tanti Paesi del continente, offrendo materiali sanitari e personale medico, diventato esperto in questi ultimi, difficili, mesi. Quest’azione potrebbe costituire il primo passo per una politica estera lungimirante, sostenibile, reciproca e coordinata nei confronti dell’Africa, diversa dalle azioni spregiudicate e predatorie di altri competitor.
Una nuova strategia verso il continente a noi più vicino, da anni evocata da più parti, ma mai rilanciata vigorosamente, garantirebbe una maggior salvaguardia dei nostri interessi nazionali al di là del Mediterraneo e, allo stesso tempo, offrirebbe ai paesi africani un partner affidabile e sensibile alle loro istanze. Politica e opinione pubblica italiana permettendo.
Le tematiche riguardanti l’Africa dovrebbero, inoltre, occupare più spazio nei media italiani, perlomeno nelle pagine “esteri”, quale pilastro della nostra proiezione internazionale e della nostra cooperazione (9 dei 22 Paesi prioritari designati dall’AICS sono africani). Sensibilizzare l’opinione pubblica contribuirebbe a legittimare l’importanza di scelte di politica estera indirizzate verso questo continente e a migliorare il coordinamento tra gli attori coinvolti, come sostiene Giuseppe Mistretta, Direttore Africa della Farnesina: “Serve un grande disegno strategico, che necessita di un insieme di protagonisti. Il sistema italiano ha bisogno di una prospettiva onnicomprensiva che riguarda tutto quello che si muove sull’Africa da parte italiana, a tutti i livelli”.
Occorre quindi una visione che guardi ai prossimi decenni, non limitata al giorno dopo e ai soli confini nazionali, ma aperta al mondo, Africa compresa. Il motivo della necessità di una nuova strategia verso il nostro grande vicino meridionale, è stata illustrata lucidamente da Salvatore Foderaro, Ministro degli Esteri negli anni ‘60: “L’Africa ci sta di fronte, non solo in senso geografico: ci sta di fronte come realtà di continente nuovo. Insieme all’Africa, l’Europa potrà compiere un cammino luminoso. Le nazioni europee potranno darle assistenza su un piano di collaborazione paritetica e senza influenze di carattere politico”.