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Giorgio Armani Operations in amministrazione giudiziaria, l’accusa: “Favorisce il caporalato dei cinesi”

Imagoeconomica

La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operations Spa, società controllata dalla Giorgio Armani Spa, che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori del gruppo del colosso della moda, a seguito di un’inchiesta su un presunto sfruttamento del lavoro, attraverso il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina. Secondo i giudici la società “non ha impedito il caporalato” e “il sistema prosegue da 7 anni”. Immediata la risposta della Armani: “La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura”.

Giorgio Armani Operations, ecco le accuse: “Sfruttamento di operai cinesi”

La Giorgio Armani Operations Spa, controllata dalla Giorgio Armani Spa, sarebbe stata “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. È quanto viene spiegato dagli investigatori in relazione alla misura di amministrazione giudiziaria disposta dal Tribunale di Milano. 

Si è potuto accertare, spiegano i carabinieri, che “la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori”, ossia la Giorgio Armani Operations spa, “mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. L’azienda fornitrice, però, “dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”.

Giorgio Armani Operations, “un sistema per massimizzare i profitti”

Un presunto “sistema” che avrebbe permesso “di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo” l’opificio cinese “che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’ e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i contratti collettivi nazionali lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”.
A partire da dicembre 2023 i carabinieri hanno effettuato “accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari delle forniture nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nella provincia di Milano e Bergamo”. Sono stati controllati quattro opifici “tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e anche 9 clandestini”.

Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”. Sono indagati per caporalato quattro titolari “di aziende di diritto o di fatto di origine cinese” e nove “persone non in regola con la permanenza e il soggiorno”. Infine, sono state comminate “ammende pari a oltre 80.000 euro e sanzioni amministrative pari a 65.000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero”.

L’accusa: “Non fatti episodici ma un modello di produzione che si ripete da 7 anni”

Non si tratta di “fatti episodici” ma di un “sistema di produzione generalizzato e consolidato” che riguarda diverse “categorie di beni”, come “borse e cinture”, e che “si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio” con la produzione “della merce a marchio Giorgio Armani” realizzata “in concreto” da “opifici cinesi”. Lo scrivono i giudici di Milano Pendino-Rispoli-Cucciniello nel provvedimento con cui hanno di fatto commissariato per un anno la Giorgio Armani Operations Spa, a seguito dell’inchiesta del pm Storari e dei carabinieri su un presunto caporalato. 

Giorgio Armani Operations, “2 euro l’ora per 14 ore di lavoro”

La produzione negli opifici abusivi cinesi di abbigliamento e accessori, venduti poi con marchio Giorgio Armani, era – sempre secondo il provvedimento del Tribunale di Milano – “attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi”, con lavoratori “sottoposti a ritmi di lavoro massacranti” e con una situazione caratterizzata da “pericolo per la sicurezza” della manodopera, che lavorava e dormiva in “condizioni alloggiative degradanti”. E con paghe “anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.

Giorgio Armani Operations, la replica della società

“La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura”. Così in una nota la Giorgio Armani commenta la misura di prevenzione disposta dal tribunale di Milano per la GA Operations. “La GA Operations – conclude la nota – collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”. 

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