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Giorgetti controcorrente sui conti pubblici: basta demagogia e sulle pensioni riprende quota la riforma Fornero

FIRSTonline

Giancarlo Giorgetti non era stato informato della messa al bando di certe parole come rigore, austerità, sacrifici con annessi i relativi corollari: tagli alla spesa pubblica, incremento delle entrate fiscali. Di conseguenza, quando l’ignaro titolare del Mef (ormai leghista per caso) si è lasciato scappare, in vista della legge di bilancio, qualche azzardo come potrebbe fare, in una situazione difficile, qualunque ministro di un paese serio, è mancato poco a che gli stessi colleghi di maggioranza ordinassero di crocefiggerlo in mezzo alla sala mensa di Palazzo Chigi.

Tra regole europee e sfide interne: la sfida della Manovra

La selva di ‘’jamais’’ a vario titolo raccolti dal ministro Giorgetti non sono incoraggianti se messi a confronto con i problemi da affrontare nella manovra di bilancio nel contesto delle nuove regole europee e di una procedura di infrazione in corso. Nel Piano strutturale di bilancio il ministro ha proposto un percorso di rientro in sette anni del deficit al di sotto del 3% e di riduzione del debito, un piano finanziario ancor più complicato dopo che l’Istat ha dimezzato quella crescita del Pil che il Governo si giocava su tutti i tavoli in Europa. È bene ricordare anche che le linee e gli indicatori del bilancio andranno concordati a Bruxelles, sulla cui benevolenza è diventato più difficile fare affidamento per le note ragioni politiche.

Del resto, basterebbe tendere l’orecchio Oltralpe per rendersi conto dell’aria che tira. Il governo poi ha dei vincoli per quanto riguarda i tagli della spesa e l’aumento delle entrate fiscali (la relativa pressione è pari al 41,3%). Senza proporsi azioni virtuose politicamente insostenibili, basterebbe evitare l’incremento delle spese inutili in particolare nei settori che di solito non si fanno mancare nulla. Il ragionamento vale in primo luogo per le pensioni.

Riforma delle pensioni: il ritorno della Fornero e il dilemma della rivalutazione

Col 1° gennaio prossimo viene a scadenza il blocco dei requisiti del pensionamento anticipato e può ripartire sia pure un po’ ammaccata la disciplina della riforma Fornero. Pertanto si tratta di vedere quale via d’uscita parallela riconfermare (l’Ape sociale? opzione donna?). Potrebbe sorgere un problema imprevisto in materia di rivalutazione automatica delle pensioni. Nella legge di bilancio del 2024 il governo ha predisposto una super rivalutazione per le pensioni minime mentre ha rifilato le aliquote di quelle più elevate. Facciamo il punto sulla questione.

Secondo quanto stabilito in via ordinaria la pensione è rivalutata al costo della vita per fasce; del 100% dell’inflazione fino ad un importo pari a tre volte il minimo, del 90% da tre a cinque volte; del 75% sulle quote eccedenti. Succede che i governi da tempo e sulla base di scale di aliquote che proteggono interamente i trattamenti bassi e medio-bassi (secondo un moltiplicatore della pensione minima) e rimodulino o sospendano la perequazione automatica per un certo periodo di tempo (di solito un triennio) su quelle di maggiore importo. È il modo più sicuro e rapido per ridurre la spesa pensionistica e realizzare delle entrate.

Ovviamente l’asino casca sempre nel solito punto: sono consentiti dalla giurisprudenza della Consulta soltanto interventi temporanei poiché una misura che tutelasse in via permanente solo la rivalutazione automatica delle pensioni basse sarebbe viziata di illegittimità. Ma i giudici delle leggi sono donne e uomini di mondo e di solito trovano sempre il modo di non mettere i governi in braghe di tela, perché se la norma viene cassata per illegittimità la sua efficacia è retroattiva e carica di oneri ingenti la spesa pubblica magari a scapito di un governo che ha ereditato da quello precedente la grana.

Rivalutazioni: le lezioni del passato

Toccò infatti al governo Renzi gestire il taglio delle rivalutazioni disposta dal governo Monti nella precedente legislatura (la rivalutazione era prevista integrale fino a 1500 euro lordi mensili, poi basta). Questa misura fu dichiarata incostituzionale perché viziata da inadeguatezza (sentenza n.70 del 2015, relatore Silvana Sciarra). Il che indusse il governo Renzi a rimediare per decreto (dl n.65/2015) ampliando, in modo retroattivo, il numero dei soggetti tutelati (senza coprire tuttavia l’intera platea), e con aliquote di perequazione ridotte man mano che cresceva l’ammontare del trattamento. Le opposizioni di allora (oggi al governo) protestarono insieme ai sindacati, rivendicando l’integrale copertura. La Consulta considerò legittimo l’aggiustamento.

Si determinò così, a seguito del decreto legge, un regime transitorio che avrebbe dovuto concludersi nel 2017 per fare ritorno al modello classico delle tre fasce. Ma nella legge di bilancio per il 2016 (allo scopo di finanziare l’opzione donna) tale termine venne spostato alle fine del 2018. Ed è qui che cominciò un’altra storia. Invece,il governo giallo-verde nella legge di bilancio 2019, rinviò per un triennio il ripristino di tale sistema e ne dispose un altro articolato su sette fasce. Da quel momento ogni governo successivo si è esibto in una propria scala di aliquote che magari non escludeva nessun livello di trattamento, ma procedeva in ordine decrescente. Solo il governo Draghi ripristinò la perequazione ordinaria, di nuovo manomessa dal governo attuale con meccanismi di ridefinizione al ribasso in modo inversamente proporzionale all’importo dell’assegno.

Un nuovo inizio per le pensioni? la Corte dei Conti interviene

La Corte dei Conti della Toscana ha accolto l’eccezione di costituzionalità sollevata da alcune associazioni e ne ha investito la Consulta. Potrebbe essere opportuno che in sede di bilancio il governo rivedesse la questione anche in relazione al fatto che il tasso di inflazione è crollato. Come abbiamo detto la Consulta ha sempre fatto passare la manomissione per i trattamenti più elevati in base alla considerazione che in quel modo era possibile distribuire le risorse all’interno del medesimo settore con criteri di maggiore equilibrio.

Nel caso contemplato nella legge di bilancio 2024 il governo Meloni aveva compiuto un’operazione innovativa: le risorse sottratte alle pensioni più elevate non erano destinate a tappare qualche altro buco nel pianeta/previdenza ma a finanziare le misure di decontribuzione per i lavoratori con redditi medio bassi (a seconda dei casi fino a 25mila o a 35mila euro lordi annui). I giudici delle leggi apprezzeranno questa piccola svolta che ha rivisto, alla buon’ora, le priorità di intervento e di tutela al di fuori dei luoghi comuni da sempre riservati alla condizione dei pensionati?

La politica delle pensioni tra controriforme e obiettivi sottesi

Comunque vadano le cose, in conclusione va riconosciuto che nessuna forza politica è legittimata a scagliare la prima pietra, in relazione a questa tipologia di interventi, perché tutte, prima o poi, vi hanno fatto ricorso (anche quando stavano in Parlamento esponendo una ditta diversa dall’attuale). Tutto quello che abbiamo raccontato fino ad ora fa giustizia di un altro luogo comune di segno opposto. Le controriforme che hanno depotenziato le riforma Fornero non si ponevano l’obiettivo di tutelare i pensionati (una parte dei quali hanno subito tagli permanenti sui loro assegni) ma i pensionandi consentendo loro di accedere il prima possibile alla quiescenza.

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