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Giappone, la triplice crisi (terremoto, tsunami, nucleare) conta più di quella internazionale

Il Giappone vive il suo momento più difficile dal secondo dopoguerra e Yoshiniko Noda, il 95° premier in carica dal 30 agosto, che si è paragonato al pesce barometro, deve ricostruire il Paese provando a ricucire i rapporti con la potente burocrazia che boicotta i Democratici imponendo una paralisi silenziosa. Superyen, delocalizzazioni e libero scambio.

Crisi dell’eurozona? Instabilità dei mercati? Tobin tax?

Pare proprio che i giapponesi abbiano ben altro cui pensare: dopo la triplice tragedia che ha avuto inizio l’11 marzo scorso (un “uno-tre” – terremoto, tsunami e crisi nucleare – che avrebbe probabilmente messo in ginocchio la maggior parte delle nazioni cosiddette Occidentali) i problemi interni che sta attraversando il Paese dimostrano di avere la priorità su qualsiasi altra questione d’oltreoceano. Anche perché è da anni (decenni?) che la parola “crisi” è entrata a far parte del vocabolario quotidiano dei giapponesi: che si chiami scoppio della “bolla”, borse asiatiche, subprime o altro, poco cambia.

Tra ricostruzione, contaminazione da cesio del suolo, migliaia di persone dislocate nei centri di evacuazione e latenti tensioni sociali, il Giappone attraversa oggi il momento più difficile dal secondo dopoguerra, con una classe politica divisa e litigiosa che fatica a riscontrare i favori della popolazione.

Negli ultimi cinque anni si sono susseguiti alla guida del Paese ben 6 premier, senza contare i ministri. Un’instabilità accentuata dal cambiamento di ruolo della burocrazia, la classe che fino alla storica elezione del Partito Democratico del Giappone tirava le fila della nazione, facendo il bello e il cattivo tempo.

Salito al potere nel 2009 dopo più di 50 anni di potere (quasi) ininterrotto da parte del Partito Liberal Democratico, il PDG ha cominciato la sua battaglia proprio contro i burocrati, a favore di un maggior protagonismo dei politici. Risultato? Una silenziosa paralisi, accentuata dagli eventi dell’11 marzo. Non è forse un caso dunque che il nuovo (e 95esimo) primo ministro Yoshihiko Noda (in carica dallo scorso 30 agosto, ma c’è già chi dice che non durerà più di un anno) si sia subito paragonato a quello che in italiano è chiamato cobitide o “pesce barometro”: molto sensibile ai cambiamenti di atmosfera, amante dell’oscurità, rimane infossato nel fango durante il giorno per predare di notte. Un passo indietro rispetto alla voglia di palcoscenico dei predecessori? Forse. Quel che è certo è che il rapporto tra burocrati e politici va ricucito, e in fretta. Nelle battute finali del suo primo discorso ufficiale in parlamento, Noda ha fatto un chiaro appello all’unità e alla responsabilità affinché il Giappone “possa risorgere dalla crisi storica nazionale” in cui si ritrova, rivolgendosi espressamente (nell’ordine) al consiglio dei ministri, ai burocrati, ai partiti di maggioranza e opposizione: in agenda, la ricostruzione della politica energetica nazionale come primo passo verso la ricostruzione dell’economia del Giappone.

Che sia ora di cambiare marcia, lo si capisce dal generale nervosismo – spesso sfogato dai cittadini solo su internet – che sabato scorso ha portato alle dimissioni, a poco più di una settimana dall’incarico, dell’ormai ex-ministro dell’Economia Yoshio Hachiro, reo di leggerezze (verbali) su un argomento molto delicato: radiazioni ed evacuazione. Al rientro da una visita nella prefettura di Fukushima, Hachiro aveva definito le località evacuate “città di morte”, cercando di premere la manica della giacca contro un giornalista e accompagnando il gesto con la frase “ecco un po’ di radiazioni”.

Archiviata in fretta e furia la gaffe, con la nomina all’economia dell’ex segretario capo di gabinetto Yukio Edano – uno dei più “visti” durante le settimane post-tsunami – si cerca di trovare fondi per affrontare gli urgenti problemi del Paese, varando innanzitutto la terza manovra finanziaria straordinaria dell’anno (non solare ma fiscale, che in Giappone va da aprile a fine marzo) e puntare subito alla quarta, dopo i 4.000 miliardi di yen destinati a maggio per la ricostruzione, e i 2.000 della seconda manovra di luglio. Allo studio anche tre opzioni per aumentare le tasse (sui redditi individuali e aziendali, sulle imposte indirette e sui consumi).

Se da una parte l’economia giapponese sta gradualmente tornando ai livelli pre-terremoto, dall’altra l’impatto sulla catena distributiva e la storica sopravvalutazione dello yen pesano ormai un po’ troppo sulle aziende, che hanno cominciato a delocalizzare la produzione nei Paesi asiatici, Corea del Sud inclusa.

Il nuovo governo, incalzato da industriali, associazioni di categoria e media nazionali, dovrà inoltre accelerare sulla firma del “TPP” (“Trans-Pacific Partnership”, conosciuto anche come “Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement”), trattato di libero scambio tra i Paesi dell’Asia Pacifico, tra cui Stati Uniti, Australia e Singapore.

Le profonde cicatrici lasciate dalla crisi nucleare rimangono comunque il nervo più dolente: soltanto la storica vittoria riportata dalla nazionale di calcio femminile (le “Nadeshiko”, fiori piccoli ma resistenti) il 17 luglio scorso al campionato mondiale ha risollevato gli animi. Un sogno che continua grazie alla recente qualificazione per le Olimpiadi di Londra del prossimo anno.

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