A proposito di concertazione e della polemica Monti-Camusso andrebbe precisato quanto segue. La Cgil non è mai stata a favore della politica dei redditi, almeno sino al 1993, mentre è sempre stata a favore della concertazione, cui ha fatto largamente ricorso a partire dagli anni 70. Politica dei redditi e concertazione non sono affatto sinonimi. La prima si propone di armonizzare l’andamento dei redditi con il tasso di inflazione atteso e/o programmato mentre la seconda prevede una intesa preventiva fra le parti sociali e fra queste e l’Amministrazione sulle politiche di investimento, sul fisco, sulla spesa previdenziale, sull’assistenza, sul mercato del lavoro, sulla scuola e sulla formazione e su altro ancora.
La politica dei redditi in Italia non è mai stata attuata mentre della concertazione si è abusato e oggi noi, ma sopratutto i nostri figli, come ha giustamente osservato Monti, siamo chiamati a gestirne l’eredità negativa. Di questa eredità fanno parte alcuni dei principali “moltiplicatori” della spesa pubblica italiana. Nell’ordine e andando indietro nel tempo: il punto unico di scala mobile, l’aggancio delle pensioni all’80% dell’ultimo salario e le pensioni di anzianità. A questi, per similitudine e perché frutto della stessa logica concertativa, andrebbero aggiunti: l’art.18, l’equo canone, i decreti Stammati (che indicizzavano la spesa storica delle amministrazioni pubbliche) e la riforma fiscale, che tolse autonomia impositiva agli Enti locali per trasferirla al Centro. Un vero e proprio keynesismo alla rovescia che, anziché moltiplicare gli investimenti, moltiplicava il debito.
L‘Italia non è stata salvata dal Patto per lo sviluppo firmato a Palazzo Chigi da Ciampi nel 93, come dice Camusso. A salvarla, se proprio cosi si vuole dire, fu piuttosto Giuliano Amato nel 92, prima con l’accordo di luglio sul blocco dei salari, che la Cgil subì e che provocò addirittura le dimissioni del suo segretario generale Bruno Trentin, e poi con la “terribile ” finanziaria dell’ottobre-dicembre contro la quale la Cgil si mobilitò con tutte le sue forze. Il Patto per lo sviluppo del 93 venne dopo, a salvataggio ormai avvenuto, e se ha avuto indubbiamente i suoi meriti ha avuto però anche due conseguenze molto negative. La prima è stata il blocco di fatto della contrattazione di secondo livello (causa questa non ultima del ristagno della produttività) e la seconda è stata l’instaurazione di un metodo di confronto preventivo fra tutte le parti sociali sulle riforme cosi farraginoso da impedire di fatto l’attuazione di qualsiasi riforma, come conferma del resto la vicenda delle pensioni e quella del mercato del lavoro.
Significa questo che non si deve più concertare nulla? Certo che no. Vi sono molti problemi che debbono essere affrontati in un confronto diretto fra le amministrazioni e le organizzazioni sindacali a cominciare dalla previdenza, dal mercato del lavoro, dalle politiche attive per il reimpiego sino alla gestione degli esuberi che deriveranno dalla riforma della PA. Queste questioni vanno affrontate, però, al giusto livello e nelle sedi proprie. Fisco, politiche di welfare, riordino della PA e politiche di sviluppo sono di competenza primaria del Parlamento e del governo e tali debbono restare. La divisione dei ruoli e il rispetto delle reciproche competenze sono, d’altra parte, una delle condizioni per un corretto funzionamento della democrazia e dell’economia.