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Giampaolo Galli (Pd): “Troppa demagogia sull’anatocismo. Il Parlamento rischia di fare danni”

Con la demagogia ed il continuo stravolgimento delle regole si danneggia non solo la credibilità del Paese ma alla fine si ostacola anche l’operatività delle imprese che a chiacchiere si vorrebbe favorire. L’ultimo caso è quello del così detto anatocismo, cioè del calcolo degli interessi sugli interessi capitalizzati sui crediti in conto corrente concessi dalle banche alle aziende.

Giampaolo Galli, economista, già direttore generale di Confindustria ed attualmente deputato Pd, cerca di riportare alla realtà le strampalate idee che circolano in Parlamento, combattendo una battaglia non per la difesa di interessi particolari, ma contro la demagogia e per una cultura matura del mercato, del suo funzionamento e degli effetti negativi della distorsione di regole che tutto il resto del mondo adotta tranquillamente.

“In fin dei conti – dice Galli – le cose sono più semplici di quello che si vuole far credere. Di fatto il Parlamento vuole abolire l’interesse composto creando delle distorsioni notevoli. Supponiamo, infatti, che una banca presta ad una impresa 1000 Euro al tasso d’interesse annuo del 10%. A fine anno se l’impresa vuole continuare a tenere il finanziamento, dovrebbe versare 100 Euro di interessi. Se non li versa il suo debito verso la banca salirebbe a 1100 Euro e quindi alla fine del secondo anno dovrebbe versare per interessi 110 Euro. Al terzo anno, sempre nel caso di una capitalizzazione degli interessi, l’azienda dovrebbe versare 121 Euro. Ora la cancellazione dell’art 31 del decreto Guidi sulla competitività impedisce il corretto calcolo dell’interesse composto dando un vantaggio crescente nel tempo alle imprese che non pagano annualmente rispetto a quelle che pagano.”

Per essere ancora più chiari, si possono fare degli esempi per calcolare l’interesse composto. Per rendere più semplice la formula matematica che sta alla base del calcolo e dare evidenza empirica alla profonda differenza che esiste tra chi paga regolarmente gli interessi e chi invece capitalizza, si può esplicitare un calcolo esemplificativo nel seguente modo: l’impresa che non paga gli interessi anno per anno, al secondo anno dovrà pagare 210 (cioè i 100 del primo anno più i 110 del secondo), nel terzo anno dovrà pagare 331 (cioè i 100 più i 110 del secondo anno, più i 121 del terzo). In questo modo si percepisce chiaramente che chi paga regolarmente anno dopo anno avrà pagato in tre anni 300 Euro di interessi, mentre chi capitalizza, dovrebbe pagare 331. Quindi è distorsivo abolire per legge questi 31 Euro di differenza tra chi paga regolarmente e chi capitalizza. Non ha un senso economico ed anzi discrimina tra le imprese.

La polemica degli interessi sugli interessi è abbastanza vecchia, come mai ora torna fuori? “Tutto nasce con la legge di stabilità 2014 dove venne inserito un comma, il 629, con l’intento di vietare il calcolo degli interessi composti. Ma la norma era scritta in maniera così imprecisa da risultare di fatto inapplicabile. A questo punto il decreto Guidi all’art 31 cercava di portare chiarezza nell’intera materia vietando il calcolo degli interessi sulla capitalizzazione trimestrale, ma consentendo il calcolo degli interessi composti sui periodi superiori all’anno, come avviene in tutto il mondo. Ma il Senato ha abolito l’art. 31 e sarebbe bene che la Camera ponesse riparo a questo errore. Purtroppo la scarsa cultura economica e questa specie di “gridolini manzoniani” che altro non sono se non demagogia spicciola, remano contro la possibilità di trovare una norma coerente con quanto avviene in tutto il resto del mondo.”

E quindi ora cosa può succedere? “Spero che le cose vengano valutate correttamente senza la solita gazzarra anti bancaria che poi di fatto non porta a nulla di efficace. Da un lato infatti nel sistema attuale ci sarebbe un indebito vantaggio per le aziende che non pagano annualmente gli interessi con il risultato dall’altro lato di spingere le banche a fare sempre meno aperture di credito il conto corrente, preferendo ricorrere ad altri tipi di operazioni, come il credito a scadenza fissa, che quindi obbligano il debitore alla fine del periodo stabilito a versare quanto preso a prestito, interessi compresi”. Insomma un risultato opposto a quello che si vorrebbe perseguire. Del resto il grande Raffaele Mattioli presidente della Comit, diceva che una banca può anche aspettare per il rientro del capitale prestato, ma in nessun caso può fare a meno di incassare gli interessi annualmente dovuti.

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