Non erano ancora stati resi noti i dati sulle elezioni in Francia che già l’onda lunga della vittoria socialista si abbatteva in Germania.
Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, ha nettamente preso posizione riguardo alla richiesta di aumenti salariali da parte dei lavoratori dell’industria, rappresentati dal potente sindacato IG Metall, che vogliono ora attingere dalle risorse incassate durante il lungo ciclo di crescita della produttività – innescato con le riforme di Schroder del 2003 – per ottenere aumenti salariali fino al 6,5%.
In questa prospettiva, la settimana scorsa alcuni scioperi hanno mostrato come anche la locomotiva tedesca non sia immune dal rischio di crescenti tensioni sociali, soprattutto in un frangente congiunturale in cui le stime di crescita per Berlino si fanno meno ottimistiche, alla luce della recessione europea.
Schauble ha quindi spezzato una lancia in favore di quanti richiedono una maggiorazione del potere d’acquisto delle classi medie tedesche: “Europa e G20 fanno affidamento su di noi, considerandoci motore della crescita. Dobbiamo rimanere in campana, lavorare sulla nostra competitività, ma va bene che ora i salari in Germania crescano più velocemente che in altri paesi europei: si tratta di aumenti che possono ridurre gli squilibri”.
Una presa di posizione politicamente conveniente? Forse: alla vigilia di una tornata elettorale in alcuni Lander, che potrebbe ripercuotersi negli equilibri del Bundestag, appoggiare le richieste dei metalmeccanici può risultare una mossa opportunisticamente azzeccata.
Ma la controparte Gesamtmetall, potente organizzazione imprenditoriale, ha prontamente replicato che le parti sociali non hanno bisogno dell’intervento del Governo. Un chiaro invito alla politica affinchè si tenga lontana dal perimetro della contrattazione bilaterale, vero fiore all’occhiello delle relazioni industriali del Paese.
La Federmeccanica tedesca, inoltre, non ha aluna intenzione di concedere ritocchi ai livelli salariali fino al 6,5%, e opta per una maggiorazione del 3% da spalmarsi nell’arco dei prossimi 14 mesi: se le organizzazioni sindacali tedesche ottenessero significativi incrementi salariali, la competitività dell’industria ne risulterebbe danneggiata.
Questo è proprio quanto gli imprenditori vogliono scongiurare, soprattutto in settori chiave dell’economia tedesca – la meccanica su tutti – che vantano prestazioni record in termini di export sui mercati asiatici, mercati in cui i produttori teutonici stanno rapidamente guadagnando quote di export in grado di più che compensare le minori vendite sul mercato europeo, colpito dalla recessione.
I critici dell’austerità chiedono a gran voce, alle autorità tedesche, di adottare politiche atte a rilanciare i consumi interni, riducendo l’attivo della bilancia commerciale incrementando parallelamente le esportazioni europee verso la Germania, aiutando così i partner dell’Unione ad uscire dalla crisi economica.
Funzionerebbe? Non tutti sono d’accordo: aumentare il potere d’acquisto delle classi medie potrebbe, sì, incrementare le esportazioni dei Piigs, ma, dal momento che molti settori dell’industria – manifatturiera e meccanica in primis – sono ancora molto più competitivi dei settori gemelli negli altri paesi, si correrebbe il rischio che a beneficiare dell’eccesso di domanda interna siano – internamente – le imprese locali, con pochi benefici per il resto dell’Europa.
Se ciò – secondo gli analisti – rende improcrastinabili le riforme nell’europeriferia per recuperare la competitività, si deve ricordare che ampi settori dell’economia tedesca – in particolare terziario e le professioni – sono, come ricorda l’Economist, ampiamente “protetti ed inefficienti“.
Un aumento della domanda interna in Germania, quindi, avrebbe sì un impatto positivo sull’economia continentale, ma – ricordano i tecnici – a patto che si metta mano al mercato unico europeo rendendolo più aperto, soprattutto laddove le rendite di posizione e le protezioni corporative sono ancora oggi scudate dalle politiche protezioniste dei membri dell’Unione. Mario Monti l’ha ricordato più di una volta.