Germania e Italia sono divise dal solco dello “spread” tra i titoli pubblici. È un divario che viene quotidianamente monitorato e che l’agire della speculazione rende oltremodo ampio. Viste attraverso la lente dello spread, Germania e Italia appaiono come due soggetti profondamente diversi e distanti. Là la virtù, la stabilità. Qui i problemi, i rischi. Non è così, ma correggere la sindrome speculativa che penalizza la posizione dell’Italia chiede di continuare a procedere sul doppio binario del rigore dei conti e del rilancio della crescita. Il fronte della crescita è quello che, a dispetto dell’andamento dello spread sui titoli pubblici, vede oggi Germania e Italia oggi molto più vicine di quello che altrimenti si potrebbe ritenere. Entrambi i paesi fronteggiano un medesimo problema: il pericoloso affievolirsi della spinta dell’export verso l’area dell’euro.
I segnali che vengono dalla congiuntura dell’interscambio europeo sono netti. Nello scorso ottobre il tasso annuo di crescita delle esportazioni tedesche verso l’area dell’euro è sceso al di sotto dello zero. Le importazioni italiane dalla Germania sono calate, anno su anno, di oltre sei punti percentuali. Alla stessa data, la crescita su base annua delle esportazioni italiane verso l’eurozona si è ridotta a poco più dell’un per cento. Nei mesi precedenti del 2011, la progressione delle vendite estere destinate al bacino della moneta unica si situava in entrambi i paesi su ritmi ben più elevati, tali da collocare l’espansione complessiva del periodo compreso tra gennaio e ottobre nell’ordine dei dieci punti percentuali. Sia in Germania sia in Italia a sostenere le esportazioni sono oggi solo le vendite extra-Ue. L’implosione dei commerci intraeurozona pesa, e peserà, dal momento che l’area conta per il 40 percento delle esportazioni tedesche e per il 43 per cento di quelle italiane.
A tutti è noto come la Germania rappresenti il primo compratore dell’export italiano. La Germania conta per l’Italia, ma l’Italia conta anche molto per l’economia tedesca. Il nostro paese è il quinto acquirente mondiale di prodotti “made in Germany”. Nel 2010 gli italiani hanno acquistato merci tedesche per ben 58 miliardi di euro, il 6,1% dell’export di Berlino. Ancora nel 2010 il mercato italiano valeva per l’esportatore tedesco più di quello, pur in forte ascesa, rappresentato dalla Cina. Sommate insieme, le esportazioni tedesche verso la Francia, l’Italia e la Spagna valgono oltre il triplo delle vendite di prodotti “made in Germany” effettuate sul mercato cinese. I mercati extra-europei crescono a grande velocità, ma il baricentro dell’export e, quindi, del grande motore economico della Germania rimane saldamente radicato nella “core-Europe”, nel bene e nel male.
Il brusco arretramento dei flussi commerciali all’interno dell’eurozona rappresenta un serio problema per la Germania non meno di quanto lo sia per l’Italia. Le esportazioni tedesche in Europa sono per una parte non piccola le importazioni degli italiani dalla Germania, e viceversa. Se l’Italia non cresce o, peggio, va in recessione, il problema è per gli italiani, ma anche per i tedeschi. Lo stesso vale considerando gli effetti di depressione delle esportazioni tedesche che trae origine dal rallentamento segnato anche dall’economia francese. Il circolo vizioso della caduta del commercio intra-europeo è una tangibile dimostrazione di come la ripresa della crescita nell’area della moneta unica debba essere perseguita su base nazionale, ma imponga anche strategie a livello europeo e soluzioni da ricercare nel rapporto bilaterale tra i diversi partner commerciali.
I dieci anni di vita dell’euro hanno visto consolidarsi una situazione di squilibrio nei saldi commerciali e, più in generale, nei conti con l’estero dei principali paesi membri. Il grande avanzo di parte corrente della Germania equivale oggi grosso modo alla somma dei deficit individualmente registrati da Francia, Italia e Spagna. La correzione dello squilibrio dei conti con l’estero tra la Germania e i suoi principali partner commerciali dell’eurozona non va lasciata a se stessa e, quindi, alla mera e dolorosa contrazione della domanda di importazioni dei paesi deficitari che sono oggi quelli a maggior rischio di recessione. Se così accadesse, tutti ne soffrirebbero. Per quanto ci concerne, il boccino della ripresa è nelle mani del recupero di competitività che le produzioni italiane e il sistema-paese potranno mettere in campo, attraverso uno sforzo formidabile di innovazione e di coesione. Il boccino della ripresa è anche nelle mani del consumatore tedesco e delle autorità tedesche, che hanno molte risorse e altrettante ragioni per investire nel futuro della comune crescita europea.