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Germania, il modello tedesco non funziona più: tra recessione e populismo, ecco perché rischia di diventare la grande malata d’Europa

Pixabay

Non basta un’aspirina per curare quella che rischia di diventare la grande malata d’Europa: l’economia della grande Germania, ormai afflitta da acciacchi che non possono essere definiti passeggeri. Innanzitutto il Pil, sceso nel 2023 in zona recessione -0,3%, ultimo atto di una lunga striscia negativa: secondo le stime del Fondo monetario internazionale, lo scorso anno l’economia tedesca è stata il fanalino di coda tra i Paesi più sviluppati, E non è un dato isolato. Dal 2019 il Pil è cresciuto di un modesto 0,7% contro il 4% dell’Unione europea, il 7,5% degli Usa e il 20% della Cina.

La Germania e la crisi di Bayer

No, di fronte a questi numeri ci vuole ben altro che un’aspirina, già orgoglio di Bayer, oggi alle prese con una grave crisi. In questi giorni l’ad Bill Anderson si accinge a presentare un nuovo piano di ristrutturazione, probabilmente più severo di quello del 2018 che già prevedeva il taglio di oltre il 10% dei posti di lavoro. Ora la dimensione potrebbe essere ancora maggiore, come si teme negli ambienti dei dipendenti. Bayer ha 22mila dipendenti qui e poco più di 100mila in tutto il mondo.

Il caso Bayer, azzoppata dalla sventurata fusione con Monsanto e da alcuni errori industriali, è comunque una buona sintesi degli sbagli commessi nel nome di una governance rigida. Avviati ora, i tagli al personale dovrebbero avvenire “entro la fine del 2025”, interessando in particolare “le fasce medie dell’amministrazione”. Per Bayer l’obiettivo è far crescere un’azienda “più veloce e innovativa”. Con il contributo del sindacato che ha promesso collaborazione purché non si proceda allo spezzatino del gruppo, mantenendo in vita sia l’attività chimico/farmaceutica sia quella legata all’agricoltura.

Germania tra costi dell’energia e calo dell’appeal

Ma è proprio la tradizionale cogestione tedesca che sembra entrata in crisi. Il sistema industriale non riesce a compensare i maggiori costi dell’energia o il calo dell’appeal del made in Germany.  Il calo ai fa sentire soprattutto nell’industria manifatturiera, già punto di forza nel sistema: nel 2023 ilm fatturato è sceso complessivamente del 2%, a causa del calo dell’industria energetica. Soffrono chimica e siderurgia con un fatturato inferiore del 20% rispetto al 2021. E si fa strada la prospettiva di un cambio di rotta nel mix produttivo del made in Germany, colpita dalla perdita dell’energia russa a basso costo e dalla contrazione dell’export.

Germania, soffre l’industria dell’auto

A soffrire più di tutti è l’industria dell’auto, il fiore all’occhiello della tecnologia tedesca, azzoppata dalla transizione all’elettrico che ha favorito le aziende cinesi e quelle Usa. E così la produzione è inferiore del 25% rispetto al livello medio segnato negli Anni Dieci del nuovo millennio.

E lo scenario potrebbe peggiorare, perché la crisi nel Mar Rosso rischia di produrre nuovi colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento penalizzando il commercio della componentistica.

Non stupiscono a questo punto le voci sul possibile cambio di rotta sull’elettrico. Il Partito popolare europeo (Ppe) avrebbe intenzione di abbandonare i piani di eliminazione graduale del motore a combustione dalle auto europee entro il 2035. Un ribaltone senza precedenti destinato a cambiare le strategie di un settore leader, come non  è mai successo nella lunga storia dei motori. Anche questo introduce nel breve un senso di incertezza.

Il risultato? “L’’economia stenta a crescere e questo favorisce i conflitti sociali “commenta Ulrich Kater, capo economista di DekaBank. Oltre alla crescita dell’estrema destra di Afd che ormai insidia da vicino le forze politiche tradizionali. A mo’ di parabola, il presidente del sindacato dei chimici, Michail Vassiliadis ha voluto ricordare, prima del congresso, la storia dell’Inselstrasse di Berlino, sede storica  dell’Allgemeine Deutsche Gewerkschaftsbund. “Il 2 maggio del 1933 – ha ricordato – i nazisti hanno invaso questa sala e rapito il segretario del sindacato. Oggi questi nemici della libertà sono di nuovo in azione”.

Un modo eloquente per sottolineare i rischi che la crescita del populismo comporta per gli equilibri socio-economici nel cuore dell’Europa. Un disagio che per ora non è intercettato dalla tradizionale austerità del blocco centrale della politica oltre Reno, a partire dalla Bundesbank. Ma che minaccia di esplodere a breve.

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