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Germania, il declino economico e politico è più pericoloso del successo dei filonazisti di Afd: parla Angelo Bolaffi

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Non è tanto il successo dei filonazisti dell’Afd (Alternative für Deutschland) nelle urne di due Land della ex Ddr, Turingia e Sassonia, che preoccupa il professor Angelo Bolaffi, filosofo e politologo, conoscitore attento della Germania e già direttore dell’Istituto italiano di cultura a Berlino. I folcloristici, sebbene pericolosi, populisti di estrema destra, guidati da Björn Höcke, sono solo la febbre, mentre la malattia della Germania è il crescente e, parrebbe, inesorabile declino economico e politico. Insomma il voto della settimana scorsa, che ha punito seriamente Verdi e Liberali, ridimensionando la Spd, ha rivelato quello che già si intravvedeva da un bel po’. E cioè che il governo tedesco è debole e impopolare.

Professor Bolaffi, la coalizione Rosso-Verde è la grande perdente di queste elezioni, ma perché i tedeschi dell’Est hanno votato un partito dichiaratamente filonazista?

“Andiamo per ordine. Intanto Afd non è un partito dell’Est, nasce in Germania occidentale, in Assia per la precisione, nel 2013, fondata da un gruppo di economisti liberali, euroscettici, che erano stati contrari all’euro. Opinionisti come ce ne erano all’epoca in Germania, e non solo, che ritenevano che abbandonare la moneta nazionale era sbagliato, posizione difesa peraltro anche dalla Bundesbank all’epoca. Però nel 2015, con la scelta famosa di Merkel di aprire le frontiere ai migranti siriani e non, nel segno “noi ce la facciamo”, il tema dell’immigrazione incontrollata arriva sulla scena politica tedesca, e inizia a dettare la nuova agenda. Mentre il Covid fa nascere un movimento no-vax particolarmente forte nelle regioni dell’ Est. Ne segue il corto circuito che ha trasformato Afd , da partito euroscettico, conservatore e reazionario, in uno populista e radicale. Ma non è finita perché all’ interno dello stesso partito si è in seguito verificato uno scontro di potere fra un’ala moderata e un’ala radicale, quest’ultima guidata dal leader che ha vinto ora le elezioni, Björn Höcke. Sono nazisti? Abbiamo imparato dai classici che nessuno si immerge due volte nella stessa acqua di un fiume, quindi non si può dire in questo modo; diciamo però che questo leader e il suo movimento è un avversario tenace di quella corrente di revisione critica del passato che in Germania si coltiva da tempo. Sono andati di provocazione in provocazione, fino ad arrivare alle dichiarazioni dell’eurodeputato Maximilian Krah sulle SS non tutti criminali che hanno inorridito perfino Marine Le Pen.”

Quanto sono pericolosi?

“Sono sicuramente pericolosi, eppure direi che hanno un aspetto di rozzezza che non consente loro di andare oltre un certo elettorato. Certo, se questo Höcke si facesse da parte per dare spazio a un leader meno provocatoriamente filonazista, se il partito fosse solo radicalmente conservatore e reazionario, è probabile che potrebbe prendere anche più voti. Tuttavia bisogna aggiungere a questo un dato importante e cioè che le regioni dell’Est, Turingia, Sassonia, Brandeburgo, Sassonia-Anhalt dal punto di vista demografico ed elettorale rappresentano il 15% della Germania. Quindi non si può e non si deve proiettare la vittoria in questi Land a livello tedesco generale. Quello che invece si può proiettare è la debolezza politica dei partiti tradizionali, a cominciare da quelli del governo e dalla figura del cancelliere”.

Dalle cose che dice sembra che l’unificazione della Germania non sia ancora fatta, c’è ancora un “Est” e un “Ovest”…

“C’è una lettura dei fatti tedeschi, soprattutto in Italia, che ritiene che ci sia stata un’annessione delle regioni dell’Est che è risultata punitiva per quei cittadini. Questo non è vero. In queste regioni oggi si vive molto meglio di quanto si vivesse al tempo della Ddr, economicamente e socialmente, basta visitare Erfurt, Lipsia, Dresda. Addirittura stanno più avanti di molte città dell’Ovest. Quello che c’è invece è un generale risentimento culturale e su questo risentimento culturale è in corso in Germania un dibattito che vede due posizioni contrapposte: l’una che accusa i cittadini dell’Est di essere dei “deplorevoli”, per usare un termine che usò la Clinton, cioè cittadini che non apprezzano la democrazia liberale e occidentale e quindi sono potenzialmente fascisti; e l’altra che invece ritiene che questa reazione culturale e anti occidentale discenda da altre ragioni, prima fra tutte l’impoverimento demografico, poiché all’Est c’è stata una forte emigrazione delle forze migliori, e soprattutto delle donne, verso l’Ovest che hanno lasciato svuotate le province più isolate e lontane con il risultato che chi è rimasto a viverci, soprattutto uomini anziani e giovani arrabbiati, pensa che la cosa più provocatoria da fare, contro il passato comunista e contro l’Occidente, sia votare nazista”.

Lei che cosa ne pensa?

“Non per fare l’ecumenico, ma le due cose sono vere entrambe. Intanto nella ex Ddr c’è un ritardo culturale enorme: è un Paese che è passato da una dittatura nazista a una comunista, parliamo di generazioni che non hanno mai conosciuto elezioni libere, pensiero libero. In secondo luogo mentre all’Ovest si produceva una rielaborazione critica del passato, nella Ddr si elevava l’antifascismo a mito di Stato: tutti obbligatoriamente dovevano essere antifascisti. E della storia terribile che avevano vissuto si addossavano tutte le colpe all’Ovest, come se i cittadini dell’Est fossero stati solo vittime. Così mentre all’Ovest maturavano autocritiche, macerazioni, all’Est, niente. Poi c’è stata la grande illusione: si abbatte il Muro, arrivano i soldi dell’Ovest, diventiamo tutti ricchi. Senza imparare come funziona una democrazia liberale. Ma c’è di vero anche che se nelle regioni dell’ex Ddr stanno cento volte meglio di prima, è pur vero che essi sono cento volte meno ricchi di quelli dell’Ovest, perché lì c’è il capitalismo vero, all’Est non c’è niente. Ci sono solo i soldi regalati dall’ Ovest, cioè le sovvenzioni. Ci sono cittadine carine, è vero, università. Ma il tessuto economico no, perché ci vogliono decenni per costruirlo. Come in Italia. Facciamo i conti da oltre 150 anni con la questione meridionale. Soldi, dibattiti, industrializzazioni a macchia… ma stiamo sempre lì: la vera ricchezza sta a Nord. É questione di politiche, certo, ma anche di tempo”.

Lei ha parlato di un rischio per l’Europa, perché?

“Riflettiamo. Dove sono oggi i presupposti per cui è nata l’Europa? Multipartitismo, transatlantismo, partiti di massa: non ci sono più. Come fa a funzionare l’Unione? Su cosa regge? Questa Europa è nata dal rapporto franco-tedesco. Ora la Francia è in crisi e la Germania è sulla stessa strada: dove siamo diretti? Non voglio essere uccello di malaugurio, ma la situazione è complicata. E quanti si cullano nell’idea che possano nascere gli Stati Uniti d’Europa si illudono”.

Perché? Lei non crede negli Stati Uniti d’Europa?

“A essere sincero io ritengo che il concetto stesso sia del tutto sbagliato. Stati Uniti d’Europa fra chi? Di chi? E che lingua si parlerebbe? La verità è che se vogliamo salvare l’Unione, perché di questo si tratta, dovremmo cominciare dall’avere un’idea meno enfatica, molto più funzionale, in cui gli Stati nazionali continuano ad avere il loro ruolo. Magari i cinque Stati nazionali più grandi, Germania, Francia, Spagna, Italia e forse Polonia, in caso per esempio di una malaugurata vittoria di Trump, potrebbero tentare di prendere la testa di un’Europa che deve pensare alla propria difesa economica e militare. Certo, non con un esercito europeo, difficilissimo da organizzare, ma con patti e trattati, come sempre. Insomma bisogna rivedere quel progetto geopolitico sul quale l’Unione si è costruita senza velleità. Una cosa che ha ben chiara in testa Mario Draghi, l’unico che ha fornito l’ultima immagine di un’Europa che conta, quella fotografata dal viaggio che fece a Kiev con Scholz e Macron”.

A proposito di economia, un altro terremoto in Germania lo sta provocando la crisi della Volkswagen: che cosa ne pensa?

“Secondo me, ma lo dico da non esperto, questa forzatura sull’auto elettrica è una catastrofe. Nel senso che neanche in Germania, Paese dove è più presente questa svolta, l’elettrico è apprezzato. La gente ha paura, esita. E poi l’auto elettrica è ancora costosa. Anche i giapponesi ci vanno cauti. Unica che va bene è Tesla, ma non ha niente a che fare con la Germania e nemmeno con l’Europa.”

Torniamo alla politica: cosa dobbiamo aspettarci a questo punto?

“Forse si può ancora contare sulla Cdu. Il partito, che, non dimentichiamo, tirò la Germania fuori dalla tragedia della seconda guerra mondiale: non solo esiste, ma è ancora forte. Ed è l’unico partito dell’Ovest che viene votato anche a Est”.

Bisogna però aspettare le nuove elezioni, o lei pensa che Scholz potrebbe dimettersi?

“Intanto aspettiamo il voto del Brandeburgo, il 22 settembre. Il Land è guidato da un socialdemocratico. Se la Spd perde anche li, dopo la Turingia e la Sassonia, la situazione di Scholz diventa praticamente insostenibile. A quel punto ci sono due alternative entrambe molto rischiose per il Paese: o i deputati Verdi e quelli della Spd fanno finta di niente e continuano fino al prossimo anno; oppure fanno uno strappo cambiando i leader. Magari puntando sul ministro alla Difesa, Pistorius, molto amato. Temo però che decideranno di vivacchiare, come spesso accade in ogni famiglia politica.”

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