In pochissimi anni lo scenario geopolitco ha stravolto quello economico. I prossimi anni saranno altrettanto cruciali e porteranno a panorami diversi a seconda delle scelte riguardo le fonti energetiche e le materie ad esse legate. Il potere strategico dei rigassificatori, delle materie cruciali, il compito dei porti. i nuovi assetti geopolitici e il ruolo del bacino del Mediterraneo. Sono questi alcuni dei temi emersi nel quinto MED & Italian Energy Report, presentato oggi al Parlamento Europeo, lavoro di ricerca intitolato quest’anno “Geopolitics of energy in the Mediterranean area between international crises and new energy commodities”, realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e frutto della sinergia scientifica tra SRM (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) e l’ESL@Energy Center del Politecnico di Torino, e della collaborazione con la Fondazione Matching Energies.
Nell’edizione 2023 è stato dato il via a uno specifico filone di analisi dedicato alle interazioni tra la geopolitica e l’energia, con il focus sul quadro energetico del Mediterraneo, i suoi possibili scenari evolutivi e gli impatti in chiave non solo ambientale e socioeconomica ma anche con riferimento alle tecnologie energetiche emergenti, con l’intento di supportare le decisioni basate sulla scienza a vari livelli e per i diversi stakeholder. Anche in questo Rapporto è presente un focus sul trasporto marittimo.
Il mix europeo di energia: come è cambiato negli Anni 2000
È in corso da ormai un ventennio un’importante modifica del mix europeo di produzione di energia elettrica. L’uso del carbone è diminuito dal 31% al 16% mentre è aumentata in maniera significativa la quota del gas naturale dal 12% al 20%. Dominano oggi le energie rinnovabili, passate dal 15% al 38% e ci si aspetta un ritmo di espansione dell’elettricità da rinnovabili più che doppio entro il 2027. Cina, USA, Unione Europea ed India rimangono tra i maggiori consumatori di energia mondiale con una percentuale pari al 58%: in particolare Cina e USA il 26% ed il 16%, UE 10%, India 6%.
I paesi con la maggior dipendenza energetica
Tra le grandi regioni del mondo, l’Europa è l’area con il maggior grado di dipendenza energetica (55,5% dei consumi energetici dipendono da importazioni), mentre questo dato scende al 20% per la Cina ed è nullo per gli Stati Uniti che sono totalmente autosufficienti nella produzione rispetto al fabbisogno energetico. All’interno del panorama europeo l’Italia è il Paese con il maggior grado di dipendenza energetica, non avendo fonti energetiche proprie, pari al 73,5%, la Francia invece – che usa il nucleare- è il Paese con il minor grado di dipendenza pari al 44,2%.
Nell’arco dell’ultimo ventennio anche l’Italia ha aumentato in modo significativo l’uso del gas e delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, che ora sono i due modi più importanti per produrre elettricità coprendo rispettivamente il 54% ed il 35% del mix elettrico. Tra gli altri paesi: la Spagna presenta un mix più equilibrato, seppure con un maggiore peso delle rinnovabili che arrivano al 41% del totale, la Germania è il Paese con il più alto utilizzo di carbone (31% del totale), anche se in forte riduzione. In Francia il mix energetico è dominato dal nucleare (63% del totale). Le importazioni di gas russo dalla Russia erano il 41,1% per l’Europa pre-guerra (2021), sono scese al 10% nel 2022 e scese ancora al 6% nei primi 9 mesi del 2023. La guerra in Europa ha creato turbolenze geopolitiche che hanno avuto impatto sulla sicurezza degli approvvigionamenti e la nuova crisi in Medio Oriente pone interrogativi sulla stabilità di un’area cruciale.
Il ruolo del Gas Naturale Liquefatto sui mercati: in vista trasformazioni
Il GNL garantisce elevata flessibilità, diversificazione e possibilità di installare rapidamente nuova capacità. Nell’Unione Europea l’importazione di GNL è aumentata da 80,5 Gmc/a nel 2021 a 132,8 Gmc/a nel 2022, e ha già raggiunto i 100,2 Gmc/a nei primi nove mesi del 2023. Le importazioni di GNL (gas liquido che a differenza dei gasdotti può arrivare da diversi fornitori via mare, ma poi richiede rigassificatori) hanno visto una crescita delle forniture in particolar modo da USA e Algeria che sono passati tra il 2021 ed il 2023 rispettivamente da 26% a 30% e da 11% a 15%. Il GNL proveniente dalla Russia ha un’incidenza non trascurabile nell’approvvigionamento UE, pari a 13,0 Gmc (ovvero il 12,9% del totale) durante i primi nove mesi del 2023, mostrando un trend stabile o in leggera crescita. La maggior parte di questi flussi di GNL russo sono importati da Belgio, Spagna e Francia.
Il GNL comporta ricadute positive per la sicurezza energetica, ma effetti negativi dal punto di vista dell’accessibilità economica, a causa dei costi più elevati e dei fenomeni di concorrenza di mercato, soprattutto con i mercati asiatici. L’atteso ruolo del GNL come possibile “game changer” sarà probabilmente accompagnato da un’evoluzione del mercato del GNL stesso, focalizzata sulla ricerca di un equilibrio tra contratti di lungo termine, per ridurre l’esposizione alla volatilità dei prezzi, e contratti spot a breve termine, per consentire flessibilità degli approvvigionamenti.
L’Italia è l’emblema di questo cambiamento perché le importazioni di gas russo dal gasdotto TAG che arriva a Tarvisio si sono ridotte dal 28,4% del 2020 al 2,4% dei primi 10 mesi del 2023. Mentre le importazioni di gas dall’Algeria attraverso il gasdotto Transmed che arriva a Mazzara del Vallo sono aumentate dal 12% del 2020 al 20,2% dei primi 10 mesi del 2023. Un vero e proprio effetto sostituzione Algeria-Russia. Che è stato anche uno spostamento del baricentro energetico da EST a SUD ridando centralità al Mediterraneo.
Il tema della dipendenza e della sicurezza energetica sono diventati sono centrali.
Il conflitto Russo-ucraino ha evidenziato la dipendenza critica di alcuni paesi da infrastrutture fisse come i gasdotti con relative impennate dei prezzi. Poi la capacità di raggiungere gli obiettivi di riempimento degli stoccaggi di gas, il potenziamento di opzioni alternative per l’approvvigionamento di gas (aumento della capacità di rigassificazione del GNL e dei flussi di gas attraverso altri gasdotti) e la riduzione della domanda di gas (-13,8% nell’UE nel 2022 rispetto al 2021) hanno determinato una diminuzione dei prezzi del gas. Da marzo 2023 il prezzo del gas ha raggiunto un valore stabile di circa 50 €/MWh, sensibilmente inferiore a quello di picco, ma comunque quasi doppio rispetto a quello registrato nel 2021.
Come contromisura alla crisi, l’UE ha introdotto il piano REPowerEU, con l’obiettivo di ridurre rapidamente la dipendenza energetica dalla Russia e accelerare la fase di transizione ecologica, attraverso una serie di misure basate su tre pilastri: diversificazione dell’approvvigionamento energetico, risparmio energetico e aumento della penetrazione delle rinnovabili. Il valore del piano è di 300 G€, con 210 G€ di nuovi investimenti che si aggiungono a quelli già previsti dalla strategia “Fit for 55”.
Si aggiunge ora anche l’attuale instabilità geopolitica in Medio Oriente in un’area dove ci sono diversi passaggi strategici e vulnerabili dal punto di vista della sicurezza energetica mondiale. Il 20% del commercio mondiale di petrolio passa dallo Stretto di Hormuz e il 10% del traffico mondiale di petrolio e l’8% dell’GNL transitano dal Canale di Suez. Insieme in questi due soli passaggi transitano oltre 26 milioni di barili di petrolio al giorno.
Il ruolo del Mediterrano tra la costa Nord e la costa Sud
Il bacino del Mediterraneo è storicamente caratterizzato da un flusso netto di Oil&Gas dalla sponda Sud a quella Nord. Inoltre, il Mediterraneo svolge un ruolo cruciale come zona di transito per l’approvvigionamento europeo di commodity provenienti dal resto del mondo. Attualmente, la sponda Europea e quella orientale del Mediterraneo dipendono da quella meridionale rispettivamente per il 18% e il 27% delle loro importazioni complessive di petrolio greggio e gas. Nei paesi della sponda meridionale, le cui economie dipendono fortemente dall’esportazione di combustibili fossili, il rilevante potenziale solare ed eolico è in netto contrasto con la quota molto ridotta di capacità rinnovabile installata, pari al 9,8%.
Nei paesi UE della sponda Nord, la spinta verso le rinnovabili è promossa dalla stessa Commissione Europea, che richiede la pubblicazione dei Piani Nazionali per l’Energia e il Clima (PNEC) ogni due anni e supporta gli Stati Membri nel raggiungimento dei loro obiettivi di decarbonizzazione.
L’export di greggio e prodotti petroliferi dai paesi mediterranei corrisponde ad una quota non trascurabile – circa il 9% per entrambi – della domanda dei paesi europei non mediterranei. Tra i maggiori esportatori di petrolio greggio verso il Mediterraneo spiccano Arabia Saudita, Iraq e Nigeria, mentre Russia e Stati Uniti sono i maggiori esportatori di prodotti raffinati.
La transizione verso un sistema energetico decarbonizzato rappresenta oggi una necessità improrogabile, da perseguire con un sistema energetico multicommodity.
L’energia elettrica assumerà un ruolo centrale nel realizzare la decarbonizzazione del sistema energetico mediterraneo, ma l’elettrificazione di tutti gli usi finali dell’energia potrebbe non essere facilmente realizzabile. Pertanto, lo sviluppo di un sistema energetico multicommodity potrebbe promuovere efficacemente la decarbonizzazione del sistema energetico Mediterraneo.
Come le nuove materie critiche cambieranno la geopolitica
In termini di efficienza energetica, l’energia elettrica è di gran lunga la scelta tecnologica preferibile. Puntare sull’idrogeno verde implica che la quota di energie rinnovabili debba aumentare consistentemente. Ad esempio, per raggiungere l’obiettivo al 2030 del 42% di consumo di idrogeno verde nel settore industriale, i paesi UE della sponda settentrionale devono installare una notevole quantità aggiuntiva di capacità fotovoltaica ed eolica.
Inoltre la transizione energetica la necessità di materie prime fondamentali per le tecnologie “verdi”. Queste ultime richiedono quantità significative di materie prime critiche (CRM, Critical Raw Materials). Le tecnologie solari fotovoltaiche richiedono per esempio grandi quantità di rame; le turbine eoliche fanno affidamento su rame, terre rare, manganese e nichel; le batterie agli ioni di litio utilizzano tutti i CRM ad eccezione del platino e delle terre rare; i motori elettrici utilizzano rame e terre rare. La produzione di un impianto eolico offshore o di un impianto solare richiede altissime quantità di rame rispetto a quelle necessarie per un impianto di estrazione del gas. Un’auto elettrica contiene in media 207 kg di minerali vari, tra cui grafite, rame, cobalto, nickel, terre rare, litio e manganese (usati per la costruzione delle parti elettriche ed elettroniche) contro i 33,6 kg di un’auto tradizionale: 6 volte la quantità di minerali usati per un’auto tradizionale.
Dove sono concetrante le maetrie prime nel mondo
Queste materie prime sono concentrate in un numero limitato di paesi. Le quote più elevate riguardano il Congo per il cobalto (66%), l’Australia per il litio (54%), la Cina per la grafite naturale (65%) e le terre rare (65%) e il Sud Africa per il platino (72%); I paesi mediterranei, e in particolare quelli europei, hanno una disponibilità limitata di tali risorse; solo il Marocco è compreso tra i primi tre produttori mondiali di fosforo. Questo fatto può “condannarli” a “nuove” dipendenze rilevanti, a causa del nuovo paradigma determinato dalla transizione energetica.
Per prevenire e contrastare queste criticità, considerando che per raggiungere i propri obiettivi al 2050 l’Europa avrà bisogno di utilizzare ad esempio un ammontare di terre rare pari a 26 volte il volume attuale, l’UE ha proposto nel 2023 il Critical Raw Materials Act, delineando misure per garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche (CRM). L’obiettivo di questa legge è quello di raggiungere almeno il 10% dei consumi annuali dell’UE coperti dall’estrazione interna all’UE, il 40% coperto dalla lavorazione interna, il 15% coperto dal riciclo interno e non più del 65% coperto da un singolo paese terzo. Al momento la domanda supera ampiamente l’attuale produzione mediterranea per la maggior parte dei materiali, tra cui cobalto, litio, materiali naturali grafite e nichel. Inoltre, nel caso delle terre rare, i paesi del Mediterraneo dipendono completamente da paesi terzi.
I porti del Mediterraneo sempre più strategici per la transizione green
I porti stanno diventando sempre più uno strumento di influenza geopolitica utilizzato dalle grandi potenze per aumentare la loro connettività con i paesi considerati strategici. In tutto il mondo gli scali si stanno concentrando sulla transizione energetica, con l’obiettivo di trasformarsi in ecosistemi a zero emissioni, attuando strategie di investimento su progetti che incorporano reti intelligenti, tecnologie per sostituire i combustibili fossili con idrogeno verde e ammoniaca, che consentano di generare elettricità da parchi eolici e solari, e di catturare, stoccare ed utilizzare la CO2. Anche l’attività di bunkeraggio di nuovi propellenti diventerà un elemento chiave di competitività nel prossimo futuro. Attualmente nel mondo vi sono 178 porti attivi per il bunkeraggio di GNL (e 91 strutture in progetto), mentre oltre 2000 navi sono dotate o saranno dotate di collegamenti alla rete elettrica terrestre (cold ironing).
Il cambiamento climatico resta attualmente la principale sfida degli scali a livello europeo. Esempi di questa sempre più attenta gestione delle questioni environmental-related sono i porti del Northern Range, che in maniera particolare stanno investendo in sostenibilità. Rotterdam, Anversa, Amburgo condividono l’obiettivo di contribuire a un’economia a basse emissioni di carbonio, con progetti che riguardano l’idrogeno, la produzione di rinnovabili, la sostituzione di combustibili fossili, il rifornimento di energia elettrica da terra, il trasporto e stoccaggio della CO2.
Esempi positivi li ritroviamo anche nell’ambito del Mediterraneo con il porto di Valencia e la Suez Canal Zone. Per il 2022 e il 2023, i porti a ridosso della Zona franca egiziana hanno firmato sette accordi per un valore di 1,34 miliardi di dollari. La ricerca di sinergie con partner internazionali per produrre idrogeno verde nella zona del Canale di Suez ha condotta alla recentissima firma di un accordo tra la Suez Canal Zone ed un gruppo di aziende cinesi del valore di 15,6 miliardi di dollari, con l’obiettivo di sviluppare la produzione di carburante green. Un’alleanza che con la realizzazione di 11 progetti attiverebbe circa 9.000 posti di lavoro.
Il ruolo dell’Italia: ponte tra Europa e Nord Africa
Esempi di green ports stanno emergendo anche nel contesto italiano: Ancona, Cagliari, Civitavecchia, Genova, Livorno, Ravenna, Taranto sono solo alcuni dei porti che stanno affrontando sfide e portando avanti iniziative orientate all’efficientamento ed alla sostenibilità. Grazie ai fondi del PNRR diverse iniziative sono state avviate.
Gli stanziamenti per i Green Ports ammontano a 270 milioni di euro; 9 sono le Autorità di Sistema Portuale beneficiarie di importi lato Tirreno e Adriatico e 31 i progetti aggiudicati relativi a 8 sistemi portuali per realizzare interventi in materia di energia rinnovabile ed efficienza energetica. I primi 5 Energy port italiani concentrano il 70% circa del traffico e sono: Trieste, Cagliari, Augusta, Milazzo e Genova. Trieste è il più importante porto energetico e gateway dell’Italia.
I porti si stanno configurando come veri e propri hub energetici e digitali oltre che logistici. Terminali di energie fossili, luoghi di sbocco di pipelines, comunità energetiche, vicini ad industrie ad alta intensità energetica possono contribuire attivamente agli sforzi globali di decarbonizzazione. Inoltre, grazie alla prossimità a potenziali aree di produzione rinnovabile in Nord Africa, gli investimenti nelle infrastrutture e nella logistica in chiave sostenibile contribuiscono a rendere i nostri porti attori chiave, rafforzando la posizione geostrategica dell’Italia nel Mediterraneo.