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Genova, Ponte Morandi: quanti allarmi inascoltati

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Il gigante fragile minato dal tempo. Questo era il ponte Morandi, progettato dall’omonimo architetto e costruito in quattro anni dal 1963 al 1967, anno in cui fu anche inaugurato. Un’opera vecchia di oltre mezzo secolo, sulla quale infatti Autostrade per l’Italia, società concessionaria della sua gestione, aveva lanciato lo scorso aprile un bando da 20 milioni per la ristrutturazione. Troppo tardi. Il viadotto Polcevera (il suo nome ufficiale, dal nome del torrente che attraversava), è crollato martedì 14 agosto di sua sponte: nel 2009 erano stati stimati dagli 8 ai 12 mesi di tempo per demolirlo, invece ieri ha fatto tutto da solo, provocando decine di vittime e lasciando la città nel panico e nello sconforto. E gettando anche ombre sul suo futuro, sulla viabilità e i collegamenti di uno snodo che era ed è cruciale per tutta la Liguria e per il Nord Italia, in quanto doppio asse da e per Milano e da e per tutto il Ponente e la Francia. Ma era un’opera fondamentale per gli stessi genovesi e per il traffico cittadino: la zona che attraversava, ex area industriale dove sorge anche lo stabilimento di Ansaldo, è densamente popolata, vi si trova l’Ikea e non è lontano dall’aeroporto e dal terminal crociere del capoluogo ligure.

Il primo a esprimere perplessità sull’opera, di cui pure ammirava lo slancio innovativo, fu venticinque anni fa Claudio Burlando, allora sindaco di Genova e poi ministro dei Trasporti e presidente della Regione. Disse che sarebbe stato un problema mantenere un ponte con l’anima in ferro nascosta nel cemento e soggetta alla corrosione dell’aria salmastra. Poi sul viadotto passarono molte altre profezie negative. Antonio Di Pietro, da ministro delle Infrastrutture, disse a Repubblica: “Il Morandi non è eterno”. Era già in onda la telenovela della Gronda, il progetto di una nuova bretella autostradale per liberare la città dal traffico pesante, alleggerire o sostituire il Morandi e migliorare il collegamento con la Liguria di Ponente. Esasperato dai veti degli ambientalisti, nel 2012 il leader degli industriali Giovanni Calvini disse al Secolo XIX: “Quando tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà, e tutti dovremo stare in coda nel traffico per ore, ci ricorderemo il nome di chi ha detto “no” alla Gronda”.
Chiamato in causa, il consigliere comunale di M5S Paolo Putti, che poi romperà con Grillo, si difese con rabbia: “A noi Autostrade ha detto che per altri 100 anni il ponte può stare in piedi”.

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Autostrade per l’Italia che, mentre si cercano ancora dei dispersi, è già finita nel mirino del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che oggi insieme ai vicepremier Di Maio e Salvini si trova a Genova: “Alle società che gestiscono le nostre autostrade sborsiamo i pedaggi più cari d’Europa mentre loro pagano concessioni a prezzi vergognosi. Incassano miliardi, versando in tasse pochi milioni e non fanno neanche la manutenzione che sarebbe necessaria a ponti e assi viari. I vertici di Autostrade per l’Italia devono dimettersi prima di tutto. E visto che ci sono state gravi inadempienze, annuncio fin da ora che abbiamo attivato tutte le procedure per l’eventuale revoca delle concessioni, e per comminare multe fino a 150 milioni di euro. Se non sono capaci di gestire le nostre Autostrade, lo farà lo Stato”.

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