La Generazione Z è composta da circa 250 milioni di persone nate tra il 1997 e il 2012. Queste persone stanno facendo molto bene nel mondo del lavoro.
Una buona metà ha già un impiego e, negli Stati Uniti, il numero della Gen Z occupata a tempo pieno sta per superare quello dei Baby boomer (le persone nate tra il 1945 e il 1964), ormai in vista della pensione.
Negli USA, ci sono già più di 6.000 ruoli manageriali e 1.000 cariche politiche coperte dalla Gen Z. La sua crescente influenza impone a imprese, governi e finanza di comprendere a fondo le caratteristiche e le aspettative di questa nuova generazione.
Prima di tutti si tratta di comprendere le diversità che caratterizzano le varie generazioni. Sono diversità nate in larga parte dal contesto socio-economico in cui sono cresciute.
Ne sono un esempio le persone che hanno raggiunto l’età adulta durante gli anni ‘20 in Germania, un periodo segnato da un’inflazione galoppante. Questa esperienza ha determinato l’avversione profonda della popolazione tedesca verso l’inflazione.
Allo stesso modo, in America, chi ha vissuto la Grande Depressione ha sviluppato una diffidenza verso gli investimenti nel mercato azionario, a causa dal trauma di aver sperimentato un crollo della borsa di portata storica.
La generazione dell’ansia
La Generazione Z, secondo molti osservatori, è la generazione dall’ansia. Il successo di un film come “Inside Out 2”, nel quale il sentimento dell’ansia tende a prendere il sopravvento, ne è in parte una conferma
Ne è convinto anche Jonathan Haidt, psicologo sociale della New York University, il cui nuovo libro, The Anxious Generation, ha acceso un vivace dibattito. In effetti, alcuni dati sembrano confermare questa tendenza: i giovani e le giovani di oggi sono meno inclini a relazionarsi rispetto alle generazioni precedenti, tendono a cadere in depressione.
Inoltre, mostrano una minore propensione al bere, ad avere rapporti sessuali o a impegnarsi in storie sentimentali. Secondo dati ufficiali, le persone tra i 15 e i 24 anni trascorrono in media solo 38 minuti al giorno nella socializzazione personale, contro quasi un’ora negli anni 2000. Haidt individua la causa principale di questo fenomeno negli smartphone e nei social media. Tuttavia, le idee di Haidt non sono sempre condivise.
Il dibattito sull’ansia della Gen Z rischia di mettere in secondo piano un altro aspetto che contraddistingue questa generazione, cioè lo straordinario successo finanziario. Questo, a sua volta, sta influenzando il rapporto con il lavoro.
L’accesso della Gen Z al lavoro
Consideriamo la generazione che ha preceduto la Gen Z: le persone nate tra il 1981 e il 1996 dette Millennials. Molte di loro sono entrate nel mondo del lavoro durante la crisi finanziaria globale del 2007-2009, un periodo che ha avuto un impatto sproporzionato sulle giovani generazioni.
Tra il 2012 e il 2014, oltre la metà della gioventù spagnola e italiana in cerca di occupazione, non riusciva a collocarsi. La situazione della disoccupazione giovanile in Grecia era ancora più drammatica.
La Gen Z che termina gli studi, oggi si trova ad affrontare circostanze molto diverse. Il tasso di disoccupazione giovanile nei paesi sviluppati, intorno al 13%, non era così basso dal 1991.
La disoccupazione giovanile in Grecia è scesa della metà rispetto al suo picco. Gli alberghi di Kalamata, una destinazione turistica greca molto frequentata, lamentano la carenza di manodopera, una situazione impensabile solo pochi anni fa.
Una parte cospicua della Gen Z ha scelto di studiare materie che facilitano l’ingresso nel mondo del lavoro. In Gran Bretagna e in America, si evitano le discipline umanistiche per riversarsi su economia e ingegneria.
Anche le qualifiche professionali stanno diventando sempre più apprezzate. La Gen Z beneficia quindi di mercati del lavoro più accessibili.
Salari migliori per la Gen Z
In America, la crescita salariale oraria tra le persone di 16-24 anni ha visto di recente un incremento del 13% annuo rispetto al 6% della fascia 25-54 anni. Si tratta del più alto “premio per le giovani generazioni” da quando esistono dati affidabili.
In Gran Bretagna, dove i salari giovanili sono misurati diversamente, la retribuzione oraria media delle persone di 18-21 anni è aumentata di un sorprendente 15% nel 2023, superando di gran lunga gli aumenti salariali delle altre fasce d’età.
In Nuova Zelanda, la retribuzione oraria media delle persone di 20-24 anni è aumentata del 10%, rispetto a una media generale del 6%.
La forte crescita salariale si riflette sul reddito personale. Un nuovo studio di Kevin Corinth dell’American Enterprise Institute e Jeff Larrimore della Federal Reserve valuta il reddito familiare per generazione, tenendo conto delle tasse, dei trasferimenti governativi e dell’inflazione.
Alla medesima età la generazione Millennials sta un po’ meglio della Generazione X – le persone nate tra il 1965 e il 1980. Tuttavia, la Gen Z surclassa la Millennials alla stessa età.
Uno o una Gen Z di 25 anni può avere un reddito annuo superiore ai 40.000 dollari, più del 50% rispetto a quello di un o di una Baby boomer alla stessa età.
In sintesi la Gen Z che lavora beneficia, nel suo complesso, di stipendi di tutto rispetto all’interno dell’intero mondo sviluppato.
Nel 2007, il reddito netto medio in Francia della fascia di età tra i 16 e i 24 anni era pari all’87% della media nazionale. Oggi, questa percentuale è salita al 92%.
In alcuni paesi, come Croazia e Slovenia, i guadagni delle persone della Gen Z raggiungono la media nazionale.
Succede davvero?
La Gen Z contesta l’idea dei redditi più alti, sostenendo che questa idea non considera l’aumento esponenziale dei costi per l’università e l’abitazione.
Tuttavia, i dati mostrano una realtà diversa. Nonostante i prezzi delle case a livello globale siano vicini ai massimi storici e le persone con una laurea abbiano più debiti rispetto al passato, la Gen Z sta effettivamente fronteggiando meglio la situazione grazie a salari più alti.
Nel 2022, in America le persone sotto i 25 anni hanno investito il 43% del loro reddito per l’alloggio e l’istruzione compresi gli interessi sui debiti universitari. Si tratta comunque di una percentuale leggermente inferiore alla media per la stessa fascia d’età tra il 1989 e il 2019. Favoriti da questi redditi più alti, i tassi di proprietà della casa degli e delle Zoomers negli Stati Uniti sono superiori rispetto a quelli dei e delle Millennials alla stessa età (anche se inferiori a quelli delle generazioni precedenti).
Entrambe le generazioni negli Stati Uniti stanno mostrando un cambio di mentalità nei confronti di un aspetto cruciale come l’acquisto di una casa. Si preferisce l’affitto alla proprietà. Ecco le ragioni.
- Costi crescenti: prezzi elevati delle case e tassi di interesse in aumento rendono la proprietà di una casa meno accessibile rispetto alle generazione dei Boomers.
- Costi nascosti: possedere una casa comporta spese aggiuntive oltre al mutuo, come tasse sulla proprietà, assicurazioni, manutenzione e riparazioni.
- Investimenti concorrenti: il mercato offre opzioni di investimento alternative come il mercato azionario, che potenzialmente possono offrire rendimenti migliori rispetto alla proprietà di una casa, soprattutto nel breve termine.
- Fattori legati allo stile di vita: dare la priorità alla flessibilità e alla mobilità rispetto all’essere legati a una proprietà. Affittare consente loro di trasferirsi facilmente per opportunità di lavoro o viaggi.
- Differenze di genere: in particolare le donne stanno mettendo in discussione la concezione tradizionale della proprietà di una casa nella direzione di una maggiore cautela dal punto di vista finanziario o della priorità all’avanzamento di carriera.
Una nuova mentalità
Gli sviluppi degli ultimi venti hanno fatto sì che si siano sviluppate differenze di mentalità tra le generazioni nei confronti di molti aspetti, compreso il lavoro. Millennials, cresciuti con l’idea del lavoro come dura conquista, tendono ad avere un sentimento più deferente verso il lavoro.
Al contrario, Gen Z, forte nella convinzione che un lavoro sia un diritto fondamentale, ha un atteggiamento più distaccato. Si sta, infatti, diffondendo il fenomeno del “quiet quitting”, che consiste nel fare il cosiddetto minimo sindacale sul posto di lavoro.
Altri parlano del “bare minimum Monday”, ovvero iniziare la settimana lavorativa con il minimo impegno.
Se le Millennials sono state attratte dall’archetipo della “girlboss”, che sgomita per scalare i vertici aziendali dominati dagli uomini, le donne della Gen Z preferiscono un approccio al lavoro più rilassato che dia priorità all’equilibrio tra vita lavorativa e personale.
I dati confermano quanto già ironicamente rappresentato dai meme: la Gen Z lavora decisamente meno rispetto alle generazioni precedenti. Nel 2022, in America, le persone tra i 15 e i 24 anni hanno dedicato il 25% di tempo in meno ad “attività lavorative o correlate al lavoro” rispetto al 2007.
Un nuovo studio del FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha analizzato il numero di ore che le persone dichiarano di lavorare, evidenziando un netto cambiamento di paradigma: non molto tempo fa, i giovani e le giovani aspiravano a lavorare molto più delle persone più avanti negli anni, mentre oggi desiderano un impegno lavorativo ridotto.
Secondo un’analisi di Jean Twenge, psicologa della San Diego State University, negli Stati Uniti la percentuale di persone in età scolare finale (tra i 17 e i 18 anni), disposta a considerare il lavoro come una “parte centrale della vita”, è crollata drasticamente.
Minore propensione all’imprenditorialità
Un’altra conseguenza è la minore propensione della Gen Z all’imprenditorialità. Si stima che nella UE solo l’1,1% di Gen Z gestisca un’azienda con dipendenti, e questa percentuale è in calo negli ultimi anni.
Intorno al 2010, secondo la rivista Forbes che stende una lista annuale delle persone più ricche del mondo, una percentuale superiore all’1% era costituita da Millennials. All’epoca c’era stato infatti il boom di start-up miliardarie fondate da gente come Mark Zuckerberg (Facebook), Patrick Collison (Stripe) ed Evan Spiegel (Snapchat).
Un decennio dopo appena lo 0,5% di Zoomers supera il miliardo di dollari di patrimonio. Chi tra voi conosce il nome di una start-up fondata da uno oppure una ventenne?
Anche la quantità di innovazioni introdotte dalla Gen Z risulta modesta. Secondo Russell Funk, dell’Università del Minnesota, si è avuto un numero inferiore di brevetti rispetto al recente passato.
Prendiamo in considerazione il Billboard Hot 100, che stende una classifica delle canzoni più popolari in America. Nel 2008, il 42% dei successi erano eseguiti da Millennials; 15 anni dopo, solo il 29% lo sono da Gen Z.
Quanto durerà il vantaggio economico della Generazione Z?
Una recessione la colpirebbe duramente, come sempre è accaduto. L’intelligenza artificiale potrebbe destabilizzare l’economia globale, anche se la Gen Z è meglio posizionata per beneficiare nel tempo dei cambiamenti della tecnologia.
Per il momento, però, la Gen Z ha il tempo per fare le cose che vuole. Tempo e anche soldi.
Fonti:
Generation Z is unprecedentedly rich, “The Economist”, 16 aprile 2024
Millennials do the maths, “The Financial Times”, supplemento del weekend “Home&House”, 29-30 giugno 2024