Il consiglio di amministrazione uscente di Generali – che ha approvato il nuovo piano strategico al 2027 – ha deciso di non scendere in campo direttamente nella partita per il rinnovo del board dell’8 maggio, scegliendo di non presentare una propria lista di candidati. Una mossa che, più che placare le acque, ha riaperto il gioco sulla governance della compagnia. La motivazione ufficiale? “Il quadro normativo di riferimento non risulta ancora completo”. Un messaggio che, tradotto dal linguaggio istituzionale, allude alla mancanza del regolamento Consob necessario per attuare la nuova disciplina delle liste del cda prevista dalla Legge Capitali.
Secondo gli osservatori, però, la questione va oltre. Le nuove regole, complesse e controverse, sembrano fatte apposta per influire sulla partita, e il risultato è che lo scontro per il controllo del Leone si preannuncia ancora più teso. Mediobanca, con il suo 13,1% di partecipazione, è pronta a scendere nell’arena con una sua lista, mentre Francesco Gaetano Caltagirone potrebbe tentare il colpo grosso presentando una lista lunga per provare a ribaltare gli equilibri e conquistare la maggioranza dei posti nel consiglio.
Se tutto questo suona familiare, è perché ricorda molto lo scontro epico del 2022. Ma questa volta il terreno di gioco è diverso. Il clima è ulteriormente surriscaldato dal tentativo di scalata di Mps su Mediobanca, e le nuove regole potrebbero trasformare le tattiche e i risultati di quella che si preannuncia una battaglia all’ultimo voto.
Il nodo del prestito titoli e la passivity rule
Tre anni fa, scrive Milano Finanza, Piazzetta Cuccia aveva avuto la meglio nell’assemblea grazie a una mossa strategica: un prestito titoli del 4,4% con Bnp Paribas, che aveva portato i diritti di voto in Generali al 17,2%. Tuttavia, la situazione oggi sembra essere diversa. Non sono stati annunciati prestiti titoli simili, e alcuni analisti ritengono che l’offerta pubblica di scambio (ops) lanciata da Mps potrebbe impedire a Mediobanca di replicare quella strategia. Ma la “passivity rule” blocca davvero Mediobanca? Secondo esperti di diritto societario, la risposta non è così semplice.
L’articolo 104 del Tuf (Testo Unico della Finanza) stabilisce che la passivity rule si applica solo alle “operazioni che possano contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”, come emissioni di nuovi titoli, buyback, cessioni, poison pill, e in generale iniziative che alterano il patrimonio aziendale, modificandone il valore di mercato. Ma tecnicamente, operazioni come il prestito titoli (un acquisto temporaneo di diritti di voto) o derivati su una terza società potrebbero non avere un grande impatto sul capitale e, di conseguenza, non interferire con l’offerta pubblica. Esiste, ricorda MF, un precedente che potrebbe dare una svolta a questa vicenda: l’acquisizione da parte di Anima del 3% di Mps.
Anima acquista il 3% di Mps nonostante la passivity rule: un precedente per Generali?
A novembre, Anima ha acquistato dal Tesoro il 3% di Monte dei Paschi. L’acquisto è avvenuto a soli 15 giorni dal lancio dell’opa da 1,6 miliardi di Banco Bpm, quando la banca senese era già soggetta alle limitazioni della passivity rule. Eppure, Anima ha concluso l’affare senza passare per l’assemblea.
Come spiegato dalla stessa società, l’operazione non ha in alcun modo ostacolato gli obiettivi dell’opa di Banco Bpm, né ha alterato il patrimonio di Anima. Tradotto: l’acquisto del 3% di Mps non ha avuto alcun impatto sulla valutazione della società, né ha influenzato l’esito dell’offerta pubblica. Un precedente che ora viene esaminato con grande attenzione da legali e banchieri, pronti a capire se potrebbe avere delle ripercussioni anche sull’ops Mps-Mediobanca e, di riflesso, sulla partita in corso per il controllo di Generali.