Per la seconda volta consecutiva l’Ad di Generali, Philippe Donnet, espresso dalla lista di Mediobanca, sbaraglia in assemblea la cordata guidata dal costruttore, editore e finanziere romano Francesco Gaetano Caltagirone e si conferma per la quarta volta al vertice della prima compagnia assicurativa italiana. E per la seconda volta a decidere le sorti dell’assemblea delle Generali sono i fondi internazionali, che votano guardando al sodo: i risultati di bilancio, i rendimenti del capitale, i piani e l’affidabilità del management.
I numeri sono incontrovertibili e non lasciano dubbi: per Donnet ha votato il 52,3% del capitale presente in assemblea e per Caltagirone il 36,8%. “Oggi – ha subito commentato Donnet – è la vittoria delle Generali come public company ed è la vittoria del mercato”. Tutto vero, ma un minuto dopo la proclamazione dei risultati dell’assemblea di ieri a Trieste la domanda che tutti si sono fatti era già proiettata sul futuro: la vittoria di Donnet è una vittoria decisiva per le Generali o è una vittoria di Pirro perché Caltagirone tornerà presto alla carica? Diciamo che è una vittoria di tappa perché oggi nessuno può sapere che cosa il futuro prossimo riserverà al Leone. Non può saperlo nessuno perché, a differenza delle altre volte, sulla scena c’è l’Ops lanciata su Mediobanca dal Monte dei Paschi e sostenuta da Caltagirone e dagli eredi di Del Vecchio con l’endorsement del Governo Meloni. Se l’Ops vince conquista Mediobanca ma, essendo la banca di Piazzetta Cuccia la prima azionista di Generali, i senesi e i loro soci hanno buona probabilità di espugnare anche il Leone, che è da sempre il vero obiettivo di Caltagirone.
Ops Mps su Mediobanca: gli scenari che si aprono per Piazzetta Cuccia e per Generali
Gli scenari che si profilano davanti alle Generali per i prossimi mesi sono dunque due e sono drastici: o il ribaltone con l’arrivo alla guida del Leone degli uomini di Caltagirone o, vista l’età e i suoi 82 anni, la probabile uscita dal radar di Trieste del patron romano. Stavolta siamo di fronte alla sfida finale ed è difficile pensare che ci siano i tempi supplementari. Se Caltagirone conquista Mediobanca può chiedere un’assemblea straordinaria delle Generali e sbancare anche il Leone. Se perde in Mediobanca deve rinunciare ai sogni di conquista anche nelle Generali.
Ma come andrà davvero a finire in Mediobanca e di conseguenza nelle Generali? Ci vorrebbe la sfera di cristallo per saperlo ma anche stavolta il ruolo dei fondi internazionali sarà cruciale: anche a Piazzetta Cuccia, come a Trieste, sosterranno il management guidato da Alberto Nagel o preferiranno cambiare? Pro e contro. I risultati di bilancio raggiunti da Nagel sono certamente buoni ma è pur vero che ancor oggi dipendono molto dai proventi della partecipazione in Generali e che la crescita in Italia e all’estero di Mediobanca e la ridefinizione del suo ruolo dopo l’irripetibile era del salotto buono di Enrico Cuccia non sono stati entusiasmanti. L’affidabilità del management e l’assenza di conflitti d’interessi giocano a favore di Nagel ma il successo dell’assemblea di Mps che ha votato largamente a favore dell’aumento di capitale per finanziare l’Ops su Mediobanca è un campanello d’allarme per Piazzetta Cuccia, soprattutto se si considera che, oltre ai principali soci, a favore della ricapitalizzazione della banca senese hanno votato fondi internazionali come Vanguard, Algebris, Pimco, Norges e Amundi. Ai nastri di partenza Nagel può contare sui soci del patto di consultazione del 11,8% e forse sul sostegno di Banca Mediolanum e Benetton mentre Caltagirone ha il 7,6% e l’appoggio di Delfin degli eredi Del Vecchio che detengono il 19,85%, ma il grosso del capitale è in mano ai fondi internazionali. Tra giugno e luglio quando scatterà l’Ops di Mps su Mediobanca la partita sarà al cardiopalma ma una cosa è certa: se Caltagirone sfonda, il ribaltone non riguarderà solo Piazzetta Cuccia (dove si ventila l’arrivo al vertice dell’ex ministro dell’Economia e attuale supermanager di JP Morgan, Vittorio Grilli) ma anche i vertici del Leone se si considera che, espugnando Mediobanca, Caltagirone e soci acquisirebbero anche la partecipazione del 13,1% della banca milanese in Generali. Ieri la vittoria di Donnet nell’assemblea di Trieste è stata schiacciante ma, se al 36,8% raccolto dai suoi oppositori si sommasse il 13,1% di Mediobanca, gli equilibri di comando si farebbero molto incerti e l’ipotesi di un ribaltone non sarebbe peregrina. Al contrario, se Caltagirone fallisse in Mediobanca, non solo non ci sarebbe il terremoto a Piazzetta Cuccia ma nemmeno ai vertici del Leone ed è probabile che il patron romano abbandoni i suoi sogni di gloria e lasci il campo.
Per il capitalismo finanziario italiano l’estate e l’autunno saranno, dunque, caldissimi perché la posta in palio è altissima e in gioco ci sono due santuari come Mediobanca e Generali. Ecco perché c’è da augurarsi che il Governo la smetta di interferire nelle scelte del mercato e che le autorità di vigilanza facciano senza timidezza il loro mestiere e, quando è il caso, facciano sentire forte la loro voce.