Avevamo avuto un inverno particolarmente caldo, con conseguenti raccolti di frutta in netto anticipo sulla stagione (in Puglia a fine gennaio si trovavano le fragole…), ma ora questo inizio di primavera all’insegna del maltempo e soprattutto del ritorno dell’inverno, con temperature rigide da Nord a Sud, sta rovinando tutto. I danni alle coltivazioni di frutta e verdura sono pesanti, e questo è ancora più grave se si pensa che in tempi di emergenza da coronavirus la filiera agroalimentare, in quanto fondamentale per assicurare il cibo agli italiani costretti in casa, era stata una delle poche a tenere botta, anzi a crescere. E’ infatti esploso nelle ultime settimane il consumo di frutta e verdura, e in generale dei prodotti freschi e made in Italy, visto che gli italiani in quarantena hanno riscoperto il piacere di cucinare a casa e di mangiare sano (non potendo inoltre fare sport per “bruciare”).
A rilevare il problema è stata come sempre Coldiretti, che ha evidenziato una situazione di difficoltà a macchia di leopardo lungo tutta la Penisola, non solo al Nord, con i danni più gravi registrati in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Puglia, a causa dell’arrivo della perturbazione dall’Europa orientale. L’ondata di maltempo insisterà ancora un paio di giorni e ha già portato con sé il ritorno della neve in quota, dopo un inverno che si è classificato in Italia come il secondo più caldo dal 1800 a livello climatologico ,facendo registrare una temperatura addirittura superiore di 2,03 gradi rispetto alla media di riferimento. Alcuni alberi di pesco, albicocco e mandorlo, ad esempio, avevano addirittura già dato i primi frutti, mentre tra i filari di pere, mele e kiwi ci sono le gemme pronte che sono state intrappolate dal ghiaccio e bruciate dal freddo. Inoltre nei campi gravi danni si contano per le primizie di stagione, dai carciofi agli asparagi, dalle bietole alle cicorie fino ai piselli.
Ma è allarme anche per 50 miliardi di api presenti sul territorio nazionale, che sono state ingannate dal caldo e sono uscite dagli alveari ed ora rischiano di subire pesanti perdite, rinunciando al loro preziosissimo lavoro di impollinazione. Questo significa niente fiori e infatti anche quel business rischia parecchio: il settore florovivaistico impiega 200mila persone e nel 2019 ha esportato piante e fiori per il valore di quasi 1 miliardo. Siamo di fronte alle evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici anche in Italia dove l’eccezionalità degli eventi atmosferici è ormai la norma, con una tendenza alla tropicalizzazione che si manifesta con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi che compromettono le coltivazioni nei campi con costi per oltre 14 miliardi di euro in un decennio, tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture.