Nei piani della Commissione europea il Consiglio avrebbe dovuto approvare nei prossimi mesi varie misure per rafforzare l’unione economica e monetaria e completare l’unione bancaria. Tra queste, spiccano l’inserimento del cd. Fiscal Compact nel Trattato sul funzionamento dell’Unione, il ministro europeo delle finanze, misure di attuazione di una capacità fiscale dell’Unione (backstop del Fondo di risoluzione, uno strumento di convergenza per i paesi che intendono aderire all’euro, uno strumento di stabilizzazione anticiclica), nonché l’avvio del sistema europeo di assicurazione dei depositi (Edis), e nuove misure per ridurre i rischi del sistema bancario (crediti deteriorati).
L’equilibrio delle proposte si muoveva nell’ottica di trovare un punto d’incontro tra le richieste di maggior disciplina e riduzione dei rischi della Germania – ora rinforzate da un documento di otto Paesi membri risolutamente contrari a nuove misure di condivisione dei rischi finanziari – con le esigenze di condividere i rischi avanzate da Francia e Italia (Spagna, Portogallo e Irlanda mantengono un profilo defilato). Un gruppo di economisti francesi e tedeschi ha avanzato una proposta di compromesso, criticata da alcuni economisti italiani.
Le decisioni avrebbero dovuto essere prese nelle grandi linee dal Consiglio europeo di giugno. In questo quadro complesso, ma ancora in movimento, i risultati delle elezioni italiane sono piombati come una gelata in primavera. Tutti i teneri germogli sono bruciati, le piante sopravvivono, ma non fioriranno a lungo. Il negoziato pare finito, perché ora il problema centrale è ritornato ad essere quello dell’affidabilità finanziaria e politica dell’Italia. In queste condizioni, i temi della condivisione dei rischi e della capacità fiscale diventano difficili da affrontare.
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