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Gaza: negoziati al limite, Hamas non cede e l’Egitto è scettico. Biden a Israele: “Urgente un cessate il fuoco”

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I negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che iniziano oggi al Cairo, sono sempre più tesi e rischiano di collassare. Alla vigilia della ripresa dei colloqui, l’Egitto ha espresso scetticismo sulla possibilità di raggiungere un accordo. I mediatori egiziani sono preoccupati per le difficoltà legate alla “proposta ponte”, in particolare per la mancanza di chiarezza riguardo al ritiro delle forze israeliane dai corridoi strategici di Filadelfia lungo il confine con l’Egitto e il corridoio di Netzarim, che attraversa il territorio da est a ovest. Un funzionario egiziano ha sottolineato che la proposta prevede solo una riduzione parziale nel corridoio di Filadelfia, senza impegni concreti per un ritiro completo, il che è considerato inaccettabile sia per Hamas che per l’Egitto.

I negoziati rimangono in bilico

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riaffermato che qualsiasi cessate il fuoco deve garantire la sicurezza di Israele, in particolare distruggendo le capacità militari di Hamas. Questo implica il rilascio degli ostaggi e il ritiro delle forze israeliane da Gaza. Tuttavia, Hamas ha respinto la proposta attuale, suscitando frustrazione tra i funzionari statunitensi e israeliani, che temono che un eventuale fallimento dell’accordo non avrà alternative chiare. I negoziatori statunitensi sono tornati al Cairo nel tentativo di salvare i colloqui, ma le prospettive rimangono incerte. Entrambe le parti sono in disaccordo su questioni cruciali, come il rilascio degli ostaggi e il controllo di aree strategiche come il Corridoio di Filadelfia e il nord di Gaza, vitali per impedire la riorganizzazione di Hamas.

Blinken e l’intervento di Biden

Il piano americano prevede il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas in cambio di un cessate il fuoco, ma la situazione è complicata. Durante i colloqui ripresi dopo l’incontro di Doha, Antony Blinken ha espresso ottimismo per un accordo, ed è apparso che pendesse troppo verso Israele. Questo ha portato il presidente Joe Biden a intervenire direttamente, chiamando Netanyahu per ribadire l’urgenza di raggiungere un accordo per un cessate il fuoco e garantire la liberazione degli ostaggi. La Casa Bianca ha sottolineato l’importanza di finalizzare rapidamente l’intesa, mentre l’Egitto ha comunicato che non riaprirà il valico di Rafah verso Gaza, cruciale per l’ingresso degli aiuti umanitari, senza un ritiro completo delle forze israeliane dal corridoio di Filadelfia e dalle altre aree strategiche.

La situazione sul campo: escalation e raid

Mentre i negoziati continuano, la situazione a Gaza si aggrava. Un bombardamento israeliano ha colpito una casa nel campo profughi di Maghazi, uccidendo almeno tre persone e ferendone altre quattro, secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa. Raid aerei hanno colpito anche i campi profughi di Jabalia, Khan Yunis e Beit Lahia, dove il numero dei morti è salito a 11. A Nuseirat, un bombardamento notturno ha causato 13 feriti. Dal 7 ottobre, il bilancio delle vittime a Gaza ha superato i 40.223 morti e i 92.981 feriti, secondo il Ministero della Sanità gestito da Hamas.

La crisi si estende anche al di fuori di Gaza. Israele ha ucciso Khalil al-Maqdah, un leader militare di Fatah, in un raid a Sidone, in Libano, il primo assassinio di un dirigente di Fatah dall’inizio del conflitto. Questo gesto è interpretato come un segnale di un’escalation regionale imminente, con il rischio di coinvolgere altri Paesi già in tensione, come Libano, Siria, Yemen e Iraq.

La portaerei USS Lincoln arriva in Medio Oriente

Nel frattempo, la portaerei statunitense USS Abraham Lincoln, accompagnata dai suoi cacciatorpediniere, è giunta in Medio Oriente, confermano le forze armate americane. Equipaggiata con caccia F-35C e F/A-18 Block III, la Lincoln ha ora assunto il comando nell’area di responsabilità del Comando Centrale degli Stati Uniti, come riportato dal Centcom su X. Il Pentagono aveva accelerato il suo dispiegamento dopo l’11 agosto, in risposta all’aumento delle tensioni legate alle minacce di Hezbollah e Iran contro Israele.

Il fragile equilibrio delle negoziazioni lascia poco spazio all’ottimismo. Le posizioni rigide di entrambe le parti minacciano di far naufragare ogni possibilità di pace, a meno che non emergano significativi progressi diplomatici nelle prossime ore.

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