Uno degli aspetti peggiori della natura umana è che siamo capaci di abituarci a tutto, anche all’orrore. Le pagine dei giornali trasformano il racconto della guerra in una narrazione quotidiana, in qualche modo appiattita: l’orrore filtrato dalle nostre lenti e ridimensionato dalla distanza che ci separa e dal senso illusorio della tranquillità di chi vive nei lembi di terra ancora pacificati.
Ma altrove la guerra divampa. A Gaza, in Ucraina, e in Libia. Storie diverse, diversi motivi, ma un unico filo rosso sangue che tiene legate tutte queste storie.
Tra Hamas e Israele, nonostante il “cessate il fuoco” richiesto dall’Onu e dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, le ostilità, dopo un paio di giorni di quiete (prima della tempesta) non si sono affatto arrestate, anzi. L’ultima notte è stata una notte di raid e bombardamenti, che ha portato il conto delle vittime oltre le 1.100 persone.
E mentre continuano a cadere bombe e uomini e donne di ogni età, c’è chi continua, come il premier israeliano Netanyahu, a parlare di una guerra giusta.
In Ucraina, invece, sono “almeno 1.129 le persone uccise e 3.442 i feriti” da metà aprile ad oggi. A dirlo l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, annunciando i dati di un rapporto Onu, secondo cui “Le notizie sull’intensificarsi dei combattimenti a Donetsk e Lugansk sono allarmanti, con l’uso di armi pesanti”.
Nel rapporto si parla di rapimenti, arresti e torture, oltre che di prigionieri giustiziati, mentre è notizia di oggi il botta e risposta tra il segretario di Stato Usa John Kerry e Serghei Lavrov, ministro degli Esteri russi: gli Stati Uniti continuano a rilanciare le accuse di interferenze russe nel conflitto (armi pesanti e artiglieria), nonostante le smentite di Lavrov.
Poi c’è la Libia, che a due anni e mezzo dall’uccisione del dittatore Gheddafi, rimane un Paese dissolto e amorfo, un gigantesco corpo senza forma e proporzioni, una terra di tutti e di nessuno, squassata dai combattimenti tra miiliziani ed esercito. Combattimenti che si sono accesi a partire dal 13 luglio, quando è iniziata la battaglia per il controllo dell’aeroporto di Tripoli.
Il conto delle vittime recita: 97 morti e 400 feriti, ma sembra destinato a crescere. La capitale libica è, ormai, un inferno di fuoco: tra ieri e oggi due incendi sono divampati in due depositi di carburante e sono stati dichiarati “fuori controllo”. I diplomatici statunitensi, tedeschi e britannici stanno abbandonando il Paese in queste ore, così come almeno 100 italiani. Chi può se ne va.