In Piemonte c’è una terra delimitata da 11 comuni, in un lembo di regione compreso tra Liguria e Lombardia: è il territorio del Gavi, il grande vino bianco piemontese, di cui si hanno tracce già nel 972 e che sorge proprio intorno al Comune di Gavi e al suo Forte, da cui transitò – secondo quanto narra la leggenda – anche l’imperatore Federico Barbarossa, nel XII secolo. Un vino bianco in Piemonte, peraltro etichetta Docg dal 1998 (il consorzio di tutela ha pochi mesi fa compiuto 20 anni) e tra i primi vini al mondo OGM Free, è una cosa abbastanza insolita, ma la spiegazione è proprio in quella vicinanza, geografica ma anche storica e culturale, alla Liguria.
La terra del Gavi è infatti a soli 30 km dal mare, a ridosso di quelle colline che delimitano il confine con l’antica Repubblica di Genova. E’ proprio un documento conservato nell’Archivio di Stato di Genova, e datato 3 giugno 972, in cui si parla dell’affitto da parte del vescovo di Genova a due cittadini gaviesi di vigne in località Mariana. Inoltre la cucina dei signori genovesi, che nei feudi di queste terre avevano la loro dimora “di campagna”, era a base di pesce, carni magre e verdure e si sposava perfettamente con il vino che all’epoca era detto Cortese. Da lì, di pari passo con la grande vocazione commerciale del porto ligure, si è costruito nei secoli il prestigio di un vino già esportato nel XIX secolo in Sudamerica, in particolare in Argentina.
Ancora oggi il Gavi DOCG, disponibile in 5 tipologie (fermo, frizzante, spumante, riserva e riserva spumante Metodo Classico), è conosciuto e apprezzato soprattutto sul mercato internazionale, dove è tra i primi bianchi italiani nella fascia top-premium soprattutto in Inghilterra, Stati Uniti, Russia, Giappone. Questi Paesi, insieme alla Germania, assorbono gran parte della produzione, che per oltre il 85% è destinata proprio all’estero e apprezzata da grandi chef come Jamie Oliver e Gordon Ramsey e dall’ex presidente americano Barack Obama. Il legame con la Liguria e col mare non è però solo geografico e storico, ma ne determina la stessa essenza. Il Gavi infatti è terra di colline e monti, ma dove già si sentono i profumi del Mediterraneo, che arrivano con le brezze marine.
E’ l’incontro tra il vento marino che soffia dal Mar Ligure e la neve dell’Appennino a rendere particolare il terroir, fatto di terreni marnosi, calcarei e argillosi che danno al bianco piemontese quell’impronta secca, quasi salmastra, mentre la lavorazione a freddo lo rende insolitamente (per un bianco) conservabile negli anni, favorendone la spumantizzazione e il connubio con qualsiasi tipo di cucina. Se infatti il Gavi nasce per la cucina di mare tipica della Liguria (e ancora oggi sono di casa il pesto, le focacce e la farinata), più di recente quella terra è diventata nota per l’origine della pasta ripiena, per la precisione del raviolo.
La storia lega alla famiglia Raviolo, che in queste terre risiedeva, l’origine di questa pasta la cui ricetta è oggi gelosamente tutelata da un Ordine di Cavalieri che da oltre 40 anni, si occupa con impegno della sua promozione. Il raviolo gaviese è tradizionalmente preparato con carni bovine e suine, uova, formaggio, borragine e scarola. Si presenta con una sfoglia sottile e gustosa e si degusta principalmente in 3 modi: al “tocco”, il locale sugo di carne, in scodella al vino e “a culo nudo”, cioè solo schiumati, senza condimenti.
Il Gavi, ultimo ma non meno importante, ha anche dei solidi numeri: la denominazione del Gavi DOCG comprende una superficie totale di circa 1500 ettari, conta circa 440 aziende tra produttori, vinificatori e imbottigliatori, 193 soci impiega 5000 persone nell’intera filiera per un totale di circa 60 milioni di fatturato a distributori (on trade). Negli ultimi 10 anni la produzione ha assistito ad un costante incremento: +41% da 1.076 ettari coltivati a 1.510, +62% da 8 a oltre 12 milioni di bottiglie vendute, e appunto l’85% della produzione destinato all’export. La vendemmia 2018 si è attestata sugli oltre 140.000 quintali di uva e i quasi 100 mila ettolitri di vino prodotto, in ripresa rispetto al 2017, dove il clima caldo e siccitoso aveva penalizzato l’attività.