Eni dà il via al giacimento di Zohr in Egitto e nello stesso giorno arriva la notizia del rinvio a giudizio per la società e per Shell nel processo sulle presunte tangenti in Nigeria. Rinviati a giudizio Paolo Scaroni che allora era amministratore delegato e l’attuale Ad Claudio Descalzi. L’accusa è di corruzione internazionale e il processo inizierà il 5 marzo del prossimo anno.
Zohr è il giacimento dei record: è il più grande del Mediterraneo e rappresenta la più grande scoperta mai realizzata nell’area. Eni è l’operatore del giacimento (di cui ha ceduto una quota del 30% a Rosneft) e ha avviato la produzione in meno di 2 anni e mezzo dalla scoperta, un tempo record per questa tipologia di giacimento, precisa il gruppo petrolifero, che si trova nel blocco di Shorouk, nell’offshore dell’Egitto a circa 190 chilometri a nord di Port Said. Un obiettivo raggiunto che l’Ad Claudio Descalzi saluta come “una giornata storica frutto delle nostre competenze, della nostra capacità di innovazione tecnologica e della nostra tenacia nel perseguire gli obiettivi, anche quelli più complessi, e di questo dobbiamo essere molto orgogliosi”.
Il super-giant di Zohr ha un potenziale di oltre 850 miliardi di metri cubi di gas in posto (circa 5,5 miliardi di barili di olio equivalente). E l’Eni ricorda che Zohr è stato scoperto ad agosto 2015, ha ottenuto l’autorizzazione all’investimento dopo soli 6 mesi nel febbraio del 2016 e sarà in grado di soddisfare parte della domanda egiziana di gas naturale per i prossimi decenni. Un successo tanto più importante – ha rilevato l’Ad Claudio Descalzi – che “questa scoperta trasformerà il panorama energetico dell’Egitto, permettendo al paese di diventare autosufficiente e trasformarsi da importatore di gas naturale in futuro esportatore”. Inoltre, contribuendo a saziare la fame di energia di cui l’Egitto ha bisogno per sostenere il suo sviluppo, contribuirà certamente a stabilizzare un area ancora soggetta a forti tensioni e criticità geopolitiche.
A Zhor l’Eni ha messo in pratica (come in altri 6 progetti caratterizzati da sviluppo e messa in produzione in tempi rapidi) il Dual Exploration Model adottato dalla società dal 2013 e che consiste nella monetizzazione anticipata dei profitti, attraverso la cessione di quote di minoranza come quella appunto ceduta a Rosneft in Egitto o a ExxonMobil in Mozambico (35,7% in Area4 per 2,8 miliardi di dollari), mentre si accrescono i successi esplorativi e prima dell’avvio produttivo. In questo modo il time-to-market è più rapido e c’è una riduzione dei costi per la messa in produzione delle scoperte e un cash flow anticipato. “Questa combinazione vincente – afferma il comunicato Eni – ha permesso alla società di generare tra il 2014 e il 2017 circa 9 miliardi di dollari dalle attività di esplorazione”.
Eni possiede oggi una quota di partecipazione del 60% nella concessione Shorouk, Rosneft il 30% (acquisita per 1,125 miliardi di dollari) e BP il 10% (ha pagato all’Eni 375 milioni di dollari). Il gruppo è co-operatore del progetto attraverso Petrobel, detenuta pariteticamente da Eni e dalla società di stato Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC), per conto di Petroshorouk, una società detenuta pariteticamente da Eni e dalla società di stato Egyptian Natural Gas holding Company (EGAS).
Il titolo quota 14,01 euro in rialzo dello 0,21% alle 11,20.
Tornando al processo per corruzione internazionale in Nigeria, sono 13 le persone rinviate a giudizio e due società. Oltre a Descalzi e Scaroni, affronteranno il processo per corruzione internazionale anche Malcolm Brinded, all’epoca dei fatti presidente di Shell Foundation, e tre ex dirigenti della società petrolifera olandese, Peter Robinson, Guy Colgate e John Coplestone, tre ex manager Eni, Roberto Casula, ex capo divisione esplorazioni, Vincenzo Armanna, ex vicepresidente del gruppo in Nigeria, e Ciro Antonio Pagano, all’epoca dei fatti managing director di Nae, società del gruppo Eni, alcuni presunti intermediari, Luigi Bisignani, Gianfranco Falcioni e il russo Ednan Agaev, e l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete.
Altri due imputati, gli intermediari Emeka Obi e Gianluca Di Nardo hanno scelto di farsi giudicare con rito abbreviato. L’indagine che ha portato al rinvio a giudizio di oggi è stata condotta dai pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro e riguarda l’operazione che, nel 2011, portò Eni e Shell a pagare 1 miliardo e 92 milioni di dollari per ottenere dal governo nigeriano la concessione offshore Opl-245 sull’esplorazione petrolifera. Secondo l’accusa, la cifra pagata fu una maxi tangente destinata a esponenti del governo nigeriano.
In una nota diffusa in mattinata, Il Cda di Eni prende atto della decisione del Gup del Tribunale di Milano, “conferma la fiducia circa la estraneità di Eni alle condotte corruttive contestate in relazione alla richiamata vicenda” ed esprime “la massima fiducia” a Claudio Descalzi, fiducioso che “il procedimento giudiziario accerterà e confermerà la correttezza ed integrità del proprio operato”.