Meno public utilities, ma più grandi. Le aggregazioni tra le aziende di servizi pubblici sono diventate una assoluta necessità. E se Matteo Renzi, pochi mesi fa, aveva preannunciato via Twitter un consolidamento “da 8000 a 1000” tra le Spa locali, oggi alla vigilia della Legge di stabilità 2015 che potrebbe fare scattare la mannaia e portarle verso un doveroso accorpamento, Franco Bassanini (nella doppia veste di presidente Cdp e Astrid) individua un obiettivo più selettivo, circoscritto ai tre settori-chiave dell’acqua, gas e rifiuti: “Rispetto all’attuale situazione di circa 1.100 operatori complessivi, a regime è prevedibile una loro riduzione a 60-190, ed è auspicabile che si arrivi ad un numero reale vicino all’estremo inferiore dell’intervallo”. Quindi, da oltre mille a meno di 200: con una riorganizzazione che dovrebbe lasciare in vita dal 6 a 17 per cento delle attuali ex municipalizzate fornitrici di servizi al pubblico. Ipotesi e numeri sono state discusse nel corso del convegno organizzato da Astrid con Acea e Mezzogiorno Europa e dedicato ai “servizi pubblici locali alla sfida della crescita”.
Se domani il Consiglio dei ministri darà via libera al pacchetto di norme, di cui si parla da tempo, che dovrebbe consentire di raggiungere l’obiettivo o se invece preferirà scegliere un altro momento per fare scattare il D-day del consolidamento, lo si vedrà a breve giro. “Le norme sono pronte – ha precisato il viceministro allo Sviluppo Claudio De Vincenti – ma quale sarà il veicolo migliore per vararle lo deciderà domani il Consiglio. Non posso dire ora se finiranno nella Legge di stabilità o altrove”. Anche il viceministro all’Economia Enrico Morando ha garantito che “ci sarà un intervento a favore di ristrutturazioni, fusioni, aggregazioni che renda realistico l’obiettivo da raggiungere. E qui – ha aggiunto – va considerato che abbiamo un’emergenza enorme che si chiama Sud a cui dovremo riconoscere una priorità”. La cornice entro cui si muoveranno le nuove norme, in ogni caso, è “la novità enorme introdotta dal Documento di Economia e Finanza. E cioè la scelta storica di anticipare di un anno, dal 1° gennaio 2016 al 1° gennaio 2015, il superamento del patto di stabilità interno per Comuni e Regioni passando direttamente al principio del pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione per il bilancio dello Stato e che sarà esteso agli enti locali”.
Una rivoluzione copernicana, insomma per porre rimedio alla proliferazione delle partecipate locali “alcune create – ha ammesso Morando – proprio per aggirare il patto di stabilità interno. Eliminato quello, si creano le condizioni di sistema perché diventi realistico passare da 8.000 a 1.000 società”. La real politik di Morando avrà successo? E’ in ogni caso un punto di partenza per intervenire su un settore che, ha ancora ricordato Bassanini, limitatamente alla 1115 società di capitali che operano nell’energia-acqua-rifiuti, ha garantito un valore della produzione di 40 miliardi l’anno e ha generato utili per 604 milioni nel 2011. Ancora, è bene sapere che il 9% delle aziende controlla l’87% del fatturato e impiega il 77% degli addetti. Per mantenere un livello adeguato di servizi, tuttavia, si rendono necessari programmi di investimento per l’adeguamento delle infrastrutture stimati 5 miliardi l’anno nei servizi idrici, 1 miliardo l’anno nella distribuzione gas e altri 5 miliardi l’anno per lo smaltimento rifiuti. Il che, riportato su valori pro capite, significa grosso modo 17 euro al giorno per ogni abitante nel caso del gas e 80 euro al giorno per abitante nel caso dell’acqua. Chi metterà questi soldi?
E’ qui che entrano in gioco gli investitori istituzionali. Il Fondo strategico italiano ha in programma 500 milioni di investimenti nel settore dei servizi pubblici locali. “Per quel 9% di grandi utility forse aggregarsi è un’opzione – sottolinea l’ad Maurizio Tamagnini – ma per le restanti 850 fare il salto e superare la sfida anche ideologica dell’aggregazione, è una assoluta necessità”. Il Fondo F2i garantisce altri 800 milioni nei settori-chiave. Ma per arrivare ai 10-15 miliardi necessari occorre chiamare a raccolta il settore finanziario. “Siamo interessati – risponde all’appello Matteo Botto Poala di Goldman Sachs– ma serve chiarezza di regole e di ruoli. Cioè serve una nuova governance, solo così gli investitori internazionali saranno interessati ad investire”. Ancor più chiara Claudia Fornaro di Mediobanca:”Gli azionisti pubblici devono accettare una diluizione delle proprie quote di controllo o nell’ambito di aumenti di capitale o nell’ambito dei processi di aggregazione”. Conclude l’amministratore delegato di Acea, Alberto Irace, che guarda vero Toscana e Umbria: “E’antieconomico pensare che ogni sindaco possa gestire le aziende che danno servizi al proprio territorio”. Una cessione di sovranità “è ormai nell’ordine delle cose”.